18 dicembre 2023

Mandello. Adriana Pasut, Michele Zucchi e Leo Callone benemeriti. “Siete di esempio per tutti”


(C.Bott.) “Speriamo veda il riconoscimento che le è stato attribuito”. Nikos Maggi, figlio di Adriana Pasut, si è espresso così, questa sera in aula consiliare, subito dopo che il sindaco Riccardo Fasoli gli aveva consegnato la civica benemerenza assegnata a sua madre, scomparsa nel 2022. “Una cosa è certa - ha aggiunto - noi siamo orgogliosi di come ha vissuto e di quello che ha fatto”. Accanto a lui suo fratello Eros. In sala gli altri due destinatari della “Grigna d’oro”: Michele Zucchi e Leardo Callone.

“Mi sento piccolo di fronte a tanti campioni dello sport espressi dal nostro paese - ha affermato il “caimano del Lario” dopo aver ricevuto a sua volta il riconoscimento - ma sono orgoglioso di appartenere a questa terra e di aver dato il mio contributo a farla conoscere anche oltre i confini regionali”. Zucchi, 100 anni compiuti lo scorso mese di marzo, ha mostrato dal canto suo con legittimo orgoglio la medaglia e l’attestato ricevuti sempre dalle mani del primo cittadino e si è detto a sua volta fiero del riconoscimento.


Mandello Lario ha così tre nuovi benemeriti. Adriana Pasut aveva sposato Ferdinando Maggi, scomparso nel 2006, a lungo impegnato in politica, nella pubblica amministrazione e nel sindacato. Ancora negli ultimi anni della sua vita non mancava di partecipare alle cerimonie in ricordo dei sei partigiani della 55.ma Brigata Rosselli trucidati dalle Brigate nere nel gennaio 1945 in località Montagnetta, a Fiumelatte di Varenna. Tra loro vi era suo fratello Domenico, classe 1922. E alcuni anni fa, in concomitanza con un’iniziativa organizzata sempre in ricordo e in memoria dei caduti di quella strage nazifascista, Adriana Pasut aveva scritto un toccante messaggio. “Ho incontrato la moglie di uno dei fascisti che assassinarono Domenico - scriveva la mandellese - Questa donna, abbracciandomi, ha chiesto il mio perdono. Io l’ho perdonata perché i partigiani combatterono per amore della libertà e della giustizia, valori che hanno poi ispirato la nostra Costituzione repubblicana e che ora tocca ai giovani difendere”.


Partito per il servizio militare, Michele Zucchi fu inviato a Cefalonia con la Divisione “Acqui”. Dopo l’8 settembre 1943 visse i momenti più tragici della Divisione: il rifiuto dell’umiliazione di una resa ai tedeschi, i bombardamenti aerei e i giorni di resistenza (con l’uccisione di molti prigionieri), quindi la resa. Portato in Russia, lui e altri militari italiani si ritrovarono prigionieri a fasi alterne prima dei tedeschi poi dei russi. Fu tra i prigionieri ad Argostoli, venne a sapere della fucilazione degli ufficiali alla “casetta rossa” e fu tra i soldati deportati su due navi, una delle quali venne affondata (dei 1.300 militari italiani imbarcati se ne salvarono 306). Lui cadde in mare, ma fu salvato dall’equipaggio della seconda nave che trasportava altri prigionieri italiani. Molti suoi compagni, invece, non scamparono al naufragio. Dal Pireo giunse in treno ad Atene, dove venne lasciato con gli altri compagni per otto giorni senza acqua né cibo. I sopravvissuti furono deportati in treno a Lublino, nella Polonia orientale.

Il 6 gennaio 1944 vennero trasferiti vicino a Minsk, poi in Ucraina. A fine 1944 fu destinato a Königsberg, nella Prussia orientale, a quel tempo sul fronte russo-tedesco. A fine gennaio del ‘45 venne catturato due volte dai russi e altrettante dai tedeschi, che lo inviarono a Danzica a lavorare nelle trincee. Liberato il 9 marzo dai russi, fu portato a Sluch, a sud di Minsk, in un campo di concentramento. Il 12 settembre, sempre del ’45, partì per l’Italia e giunse a Mandello il 3 ottobre. “Quello - ha sempre raccontato Zucchi - è stato il giorno più bello della mia vita”.

Nel 2019 il presidente della Repubblica gli ha conferito la medaglia d’onore ai cittadini italiani deportati e internati nel lager nazisti 1943-1945. E quello stesso anno l’Associazione nazionale Divisione “Acqui” gli aveva consegnato due croci al merito di guerra: una per la campagna 1940-43, l’altra per quella che va dal ’43 al ‘45. Due riconoscimenti giunti a distanza di oltre 70 anni dagli eventi che ebbero per protagonista proprio l’artigliere mandellese.


Poi Leo Callone, si è detto. Le sue imprese natatorie non si contano. Ha scritto pagine importanti nella storia delle “gran fondo” e trascorso una vita in acqua, verrebbe da dire. Già, perché proprio in acqua il “caimano del Lario” ha percorso a nuoto oltre centomila chilometri. Come dire, 100 milioni di bracciate dentro le quali racchiudere la sua prestigiosa carriera.

Classe 1945, capace di collezionare in oltre cinquant’anni di carriera qualcosa come 300 vittorie in piscina e 200 in acque libere, Leo vanta un palmarès che comprende una ventina di titoli italiani e 50 allori regionali in piscina, 18 titoli nazionali in acque libere, quattro record del mondo, tre medaglie di bronzo ai campionati mondiali di fondo, una quindicina di maratone internazionali, tre Capri-Napoli e la Ponza-Circeo, oltre alla traversata della Manica, la sua prima grande impresa datata agosto 1981.

Più d’una anche le iniziative sociali portate avanti da Callone in particolare tra il 2001 e il 2011. Tra le altre, la chiesa e una clinica medica sorte nel Sud-est del Guatemala, da lui volute in memoria del figlio Nicola, scomparso in tragiche circostanze nel 2000, che proprio tra pochi giorni, il 23 dicembre, avrebbe festeggiato il compleanno.









 

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