07 gennaio 2021

8 gennaio 1945, alla “Montagnola” di Fiumelatte la fucilazione di sei partigiani

Tra loro anche il mandellese Domenico Pasut, classe 1922. Dall’Archivio comunale della memoria locale la sollecitazione a non dimenticare



(C.Bott.) “Nei volti di questi sei partigiani possiamo intravedere tutte quelle persone che hanno dato la vita per un ideale più grande che li trascendeva, ma sono rimasti sconosciuti all’umanità. Ecco perché questa cerimonia può anche trasformarsi in un gesto di pietà e di profondo rispetto verso tutti i nuovi umiliati della Terra”.

Così ebbe a dire due anni fa il sindaco di Varenna, Mauro Manzoni, nei giorni dell’anniversario della fucilazione da parte dei fascisti, in località Montagnola di Fiumelatte, dei partigiani Carlo Bonacina, Giuseppe “Beppe” Maggi e Virgilio “Ciccio” Panzeri di Lecco, Domenico Pasut di Mandello Lario, Ambrogio Inverni di Bellano e Carlo Rusconi di Vendrogno, tutti di età compresa tra i 21 e i 31 anni.

Quell’episodio del gennaio 1945 rientra tra gli “itinerari della memoria” che nel corso degli anni ha visto l’Archivio comunale della memoria locale di Mandello realizzare, oltre a una guida, anche una serie di targhe collocate nei luoghi simbolo della lotta di Resistenza.



In quella riferita all’episodio di Fiumelatte , inaugurata nel 2010, si legge: “In Valsassina e in Val Varrone parecchi partigiani della 55.ma Brigata F.lli Rosselli nel dicembre 1944 si arrendono alle forze fasciste per mancanza di viveri e sono internati nelle carceri di Bellano. Secondo gli accordi presi con il questore di Como devono essere inviati in Germania come lavoratori coatti. Durante il trasferimento da Bellano a Como, nel luogo denominato “la Montagnola” sei di loro vengono fucilati l’8 gennaio 1945 dalle camicie nere per timore di una loro liberazione”.

Tra i sei partigiani fucilati vi era, come detto, il mandellese Domenico Pasut (“Leone” il suo nome di battaglia), classe 1922. Di lui l’Archivio della memoria ricorda: “Militare a Bobbio Pelice, dopo l’8 settembre 1943 tornò a casa e andò da un suo amico in Valsassina per poi aggregarsi alla Brigata Rosselli. Fu catturato a Portone, sopra Bellano, mentre stava venendo verso le Grigne, considerato che nell’inverno del ‘44 aveva nevicato moltissimo e i partigiani non avevano i viveri necessari. Avevano patito la fame ed erano allo stremo delle forze”.

“Passando da Bellano - aggiungono i volontari dell’Archivio - volevano rientrare all’Alpe di Era con i partigiani della “Poletti”. Si fermarono in una trattoria sopra a Portone. A causa di una spiata (nella trattoria c’era il telefono) vennero arrestati, portati nelle carceri di Bellano e qui trattenuti per una ventina di giorni. Va ricordato che Bellano era sede della Scuola ufficiali della Guardia nazionale repubblicana (Gnr) e di un presidio delle camicie nere (Bbnn)”.

Poi il riferimento all’episodio della “Montagnola”: “Alle 5 di mattina dell’8 gennaio 1945 furono caricati sui camion che avrebbero dovuto trasferirli a Como, destinati alla deportazione in Germania, ma una volta arrivati alla “Montagnola” vennero fucilati. Gli autori dell’eccidio dissero di essere stati assaliti da altri partigiani che avevano teso un’imboscata, versione che successivamente si sarebbe rivelata infondata”.

1 commento:

  1. Sono figlia di un partigiano scampato assieme a Carlo Vassena detto Bassi, alla fucilazione di fiumelatte, che non è stata una fucilazione vera e propria, infatti si erano fermati solo per pestare l'inverni Ambrogio detto LUPO, lo hanno massacrato di botte, poi alla donna che aveva il mitra è partita una raffica, e allora li hanno uccisi erano in 6 mio padre e il Bassi si son salvati per miracolo, perchè avendo sentito subito dopoi loro spari altri spari provenienti dalle gallerie, si sono messi paura e hanno sbattuto i superstiti sul camion e sono scappati. Paura perchè avevano l'ordine di portare i prigionieri a Como per essere giudicati. Questo è quello che io ho sempre sentito raccontare. Mio padre era Ravellia Vincenzo, sulla camionetta erano 8 partigiani che dovevano essere portati a Como dai nazisti, a Como vi erano anche i due ragazzi diciottenni, che avevano parlato dicendo dove si trovavano i partigiani in montagna. Mio padre sentiva le urla dei torturati, vi erano anche quei ragazzi, lui e Bassi vennero mandati in campo di concentramento. Bassi lo conobbi perchè lavoravo in ospedale , e anche sua figlia lavorava in ospedale, un giorno per caso lui mi chiese di chi ero figlia, e dissi che mio padre era morto da tempo, e quando gli dissi il nome mi strinse e pianse io non capivo poi la figlia mi spiegò. Lui aveva una cognata sorella della moglie che compiva gli anni l'otto gennaio, a lei era proibito festeggiare. Mio padre mi parlava poco di quei ricordi, ma di notte a volte urlava nel sonno, e mi spaventavo moltissimo, solo quando seppi dell'accaduto , capii.

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