21 dicembre 2023

Scuola, progetto “Educare alle relazioni”. Adriana Lafranconi: “Un passo necessario, ma non basta”

La ex docente mandellese: “E’ imprescindibile il ruolo della famiglia, non solo e non tanto nel dare le opportune informazioni ma come luogo in cui fin dalla nascita i figli possano respirare la cultura del rispetto reciproco”

Adriana Lafranconi

Il 22 novembre scorso il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha presentato il progetto “Educare alle relazioni”, destinatari le studentesse e gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, che costituisce lo sviluppo delle linee guida del 2015 “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”, emanate ai sensi della legge 107/2015, più nota come “Buona scuola” (governo Renzi).

In occasione della fiera “Più libri più liberi” la segretaria del Pd, Elly Schlein, pur criticando il ministro per il dietrofront sulla nomina dei garanti di questo progetto ha dichiarato: “E’ urgente rendere obbligatoria l’educazione all’affettività e al rispetto delle differenze in tutti i cicli scolastici coinvolgendo le competenze e i centri antiviolenza, questa è la strada. Continuiamo a confermare la nostra disponibilità a lavorare insieme su una legge che renda obbligatoria in tutti i cicli scolastici l’educazione all’affettività e al rispetto delle differenze: dobbiamo intervenire prima che si radichi quell’idea violenta e criminale di un possesso e di un controllo sul corpo e sulla vita delle donne”.

La convergenza bipartisan su questo tema ne segnala l’importanza e mette in evidenza i nodi dell’obbligatorietà e del coinvolgimento di tutti gli ordini e gradi di scuola. In merito abbiamo interpellato la mandellese Adriana Lafranconi, ex docente ed ex dirigente scolastica.

A suo giudizio come sta accogliendo la scuola il progetto “Educare alle relazioni” presentato dal ministro Valditara?

Per una risposta immediata posso attingere alla pagina Facebook “Vita con Achille”, in cui una docente dell’Istituto “Bertacchi” di Lecco, Francesca Negri, scrive il 20 novembre: “Me la vedo già la dirigente al prossimo collegio docenti, ci dirà che ora dovremo incastrare pure le ore di educazione sentimentale. E dovremo farlo in fretta, che Valditara ci tiene molto. Funziona sempre così nella scuola, si danno nomi diversi alle stesse cose di sempre, per gattopardescamente non cambiare mai nulla. E si finirà a fare le stesse cose, dicendoci che ne facciamo altre, molto più utili e necessarie, a cui daremo soltanto un nome diverso. L’unica cosa che avrebbe davvero senso fare sarebbe un buon corso di educazione sessuale gestito da professionisti del settore medico-sanitario e stop. Già questo basterebbe. Ma io non sono una psicologa, non sono una sociologa, non sono una politica. Sono solo una “prof” che a breve parlerà di come abbia fatto male Gianciotto ad ammazzare Paolo e Francesca e che la gelosia è una brutta cosa, che l’amore non è possesso e finisce all’inferno chi lo pensa. Parole che dicevo già prima e continuerò a dire, ma che da sole non so quanto saranno in grado di germogliare”.

In queste poche parole c’è una costellazione di spunti, ci pare…

Certamente. Da rilanciare, da discutere. Possiamo cominciare passando dal parere di un’insegnante a quello di opinionisti, politici, esponenti del mondo sindacale. Per fare qualche esempio, le opposizioni chiedono che il Parlamento si impegni ad istituire, a partire dalle scuole secondarie di primo grado, percorsi di educazione all’affettività e percorsi di educazione sessuale, per la promozione della parità fra i sessi e la lotta alle violenze di genere. Il progetto presentato da Valditara non basta per il M5S, che ha depositato una proposta di legge organica volta a introdurre l’educazione affettiva e sessuale a scuola. Di fatto, in accordo con quanto chiesto dalla Schlein. Sul Giornale del 23 novembre Francesco Giubilei plaude a “Educare alle relazioni”, perché con un approccio educativo di sensibilizzazione dei giovani affronta il problema della violenza contro le donne, coinvolgendo anche le famiglie. Il sindacato Dirigentiscuola si dichiara pronto a dare il proprio contributo all’iniziativa, apprezzandone la risorsa dello psicologo, considerata significativa per agire nella scuola e prendere in considerazione gli stati emotivi di studenti e docenti. La psicologa Raffaella Iafrate, su Avvenire Famiglia, il 10 dicembre scorso dice: “Sicuramente un corso non può prevenire tutte le derive che si possono verificare nelle relazioni affettive, ma quando mette al centro la relazione può effettivamente “gettare le basi” per la costruzione di rapporti “sani”. Educare alla relazione è infatti educare al rispetto dell’altro come persona. Educare all’affettività non significa solo soffermarsi sui tecnicismi, sul come fare, ma soprattutto riflettere sul perché, sui fondamenti del comportamento umano. Perché dovrei rispettare l’altro? Per essere umano e riconoscere l’altro nella sua umanità (che è un suo diritto fondamentale). Ed essere umano significa sostanzialmente essere in relazione, perché siamo originati da una relazione e cresciamo e ci umanizziamo grazie alle relazioni”.

Tutti, in sintesi, convergono sulla necessità di azioni formative volte a modificare la cultura di una relazione tra i sessi che ancora considera la donna un oggetto da possedere.

Esatto. Ma mi preme mettere in evidenza che molte di queste posizioni hanno in comune la considerazione dell’educazione sessuale in contesti di emergenza, o di natura sanitaria (come era stato, per fare un esempio, con l’incontrollata diffusione dell’Aids) oppure sociale, per la necessità di contrastare l’omofobia o, come succede oggi, la realtà dei femminicidi. A un’analisi più approfondita, sotto quest’ampia convergenza si colgono però differenze sostanziali, perché diverse sono le visioni di sessualità che nel tempo hanno portato a politiche scolastiche anche molto lontane tra loro. Pure in tema di sessualità, infatti, prima ci sono le giustificazioni teoriche, poi una correlata traduzione operativa.  

Possiamo approfondire questo concetto, con riferimenti alla normativa scolastica nel tempo?

Provo, concentrandomi sugli ultimi cinquant’anni. La liberazione sessuale degli anni 60/70 rappresenta la premessa alla liberazione socio-politica, all’opposizione alla cultura sessuofobica che fino a quel momento aveva rappresentato la cornice della formazione alla sessualità di bambini e giovani, nonché all’emergere di una prospettiva culturale più disinibita e più liberatoria. In concomitanza con l’emancipazione sessuale, gli anni Ottanta vedono la scuola impegnata in una concezione di educazione sessuale inclusa nell’educazione alla salute - che viene istituzionalizzata negli anni ’90  - finalizzata soprattutto alla prevenzione delle malattie. Le attività in merito, intese come approfondimento di specifiche tematiche, vedono una collocazione ordinaria in diverse discipline curricolari in tutti gli ordini di scuola. Una tappa fondamentale nel percorso di educazione alla sessualità nella scuola è rappresentata dalla Legge delega 53/03, più nota come riforma Moratti, e dai relativi decreti delegati. In quel caso, la normativa scolastica prevedeva l’educazione alla convivenza civile, articolata in sei educazioni: alla cittadinanza, stradale, ambientale, alimentare, alla salute e, appunto, all’affettività, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado. Essendo l’educazione alla sessualità considerata una componente dell’educazione all’affettività, essa era vista in reciproca relazione con la competenza personale. Scrive a questo proposito Melania Bortolotto, dell’Università degli Studi di Padova, in “L’educazione sessuale a scuola. Modelli pedagogici espliciti ed impliciti”: “Adottando questa chiave interpretativa, la relazione d’amore, che implica il coinvolgimento sessuale, può essere letta come una delle espressioni più elevate della convivenza umana, una sorta di matrice originaria della società. Tale convivenza è civile solo nel momento in cui vi è la piena consapevolezza e responsabilità personale dei soggetti nel suddetto campo d’azione”.

Lei ha appena usato, con riferimento alla riforma Moratti, l’espressione “educazione all’affettività”, la stessa utilizzata da Elly Schlein per auspicarne l’obbligatorietà nella scuola…

Vero. Ma penso che ciò sia più frutto del caso che della volontà della Schlein di recuperare il concetto di educazione all’affettività presente nel decreto 59/2004. Ripensando a quella stagione, infatti, ho ancora ben presente l’ostruzionismo fatto dalle opposizioni in quel governo e da grande parte del mondo della scuola, delle forze sociali al quadro pedagogico sotteso a quella riforma, di cui si vedeva prima di tutto la firma di una legislatura di centrodestra, da contrastare piuttosto che analizzarne i paradigmi teorici di riferimento. A mio parere, per restare all’aspetto specifico dell’educazione all’affettività, molteplici erano i punti di forza, oltre al suo includere l’educazione alla sessualità: la sua collocazione nel curricolo obbligatorio di scuola, di tutti gli ordini e gradi; il fatto che non costituisse una disciplina a parte, ma che si avvalesse degli apporti trasversali di tutte le discipline e quindi di tutti i docenti; che la famiglia fosse chiamata a corresponsabilità educativa; che non si mirasse solo all’acquisizione di informazioni da parte degli allievi ma alla maturazione delle loro competenze in merito, con la conseguente considerazione della consapevolezza e della responsabilità personali. Qualche esempio di obiettivi da perseguire può meglio chiarire il discorso: per la scuola dell’infanzia i bambini riconoscano e apprezzino l’identità personale e altrui nelle connessioni con le differenze di sesso, di cultura e di valori esistenti nelle rispettive famiglie, comunità e tradizioni di appartenenza. Per la primaria: attivare modalità relazionali positive con i compagni e con gli adulti, anche tenendo conto delle loro caratteristiche sessuali. Per la secondaria di primo grado: essere consapevole delle modalità relazionali da attivare con coetanei e adulti di sesso diverso, sforzandosi di correggere le eventuali inadeguatezze. Per la secondaria di secondo grado: documentarsi sulle problematiche sociologiche, psicologiche, sociali e etiche dei comportamenti sessuali giovanili.

Il ministro Giuseppe Valditara.

Un’occasione persa, dunque, a suo parere?

Sì. Non solo per la presa di posizione delle opposizioni, di cui ho già detto, ma anche per le modalità di presentazione di quella riforma da parte della maggioranza che l’aveva votata: sarebbe stato necessario un maggior confronto tra le parti per evitare il muro contro muro, anche perché il relativo quadro culturale era impegnativo per la scuola, che forse ne aveva temuto la complessità. In seguito, nel passaggio alla normativa scolastica con il ministro Fioroni (governo Prodi II), la riflessione sul tema si è fatta più implicita, così come nella Legge 169/08, in relazione a cittadinanza e Costituzione, che vede l’educazione alla sessualità ricompresa in quella alla salute, in accordo con documenti internazionali di quegli anni, che aprono alla tematizzazione delle preferenze e degli orientamenti sessuali, così come alle diverse forme di mascolinità e femminilità. In Italia negli stessi anni si registra un interesse per la valorizzazione delle diversità, della lotta alla discriminazione e all’omofobia, dell’affermarsi delle teorie del gender, con la conseguente apertura di uno scontro ideologico fra opposte posizioni. Occorre però sottolineare che non basta dare ai giovani le pur necessarie informazioni su questo tema. Si leggeva in Avvenire, il 13 novembre 2014: “Nel parlare di sessualità, urge dunque l’adozione di una prospettiva educativa: passare dal dare informazioni sulla sessualità ad educare l’affettività e la sessualità. La sfida educativa riguarda anche affettività e sessualità; perché se la sessualità è una dimensione fondamentale della persona umana, l’affettività ne è il cuore. Occorre dunque passare dalla mera informazione ad un confronto relazionale che tenga conto dei bisogni e delle aspettative dei giovani, offrendo loro risposte di senso”. Anche nella legge 92/2019, relativa all’obbligatorietà dell’insegnamento dell’educazione civica, il tema che stiamo affrontando è implicitamente considerato nel “diritto alla salute e benessere della persona”, nella generica indicazione di rafforzare il rispetto delle persone (oltre a quello degli animali e dell’ambiente). In sintesi, la riflessione sulla sessualità viene a collocarsi nell’ambito più generale dei diritti umani, con il coerente richiamo alla responsabilità personale delle proprie scelte, anche in questo ambito. Di contro, si registra una certa fumosità sulla collocazione curricolare della formazione alla sessualità, per cui si possono incontrare docenti virtuosi che, lavorando ad esempio sulla Divina Commedia, come abbiamo visto in apertura, fanno anche educazione sessuale, ma pure insegnanti che evadono da questa responsabilità formativa.

Qual è lo stato dell’arte negli altri Paesi europei?

Sul Fatto Quotidiano del 21 novembre scorso Virginia Della Sala richiama il report realizzato dal Centro federale tedesco per l'educazione sanitaria con la rete europea della International Planned Parenthood Federation, che stabilisce una classifica dei Paesi in base alla virtuosità delle azioni messe in campo in tema di sessualità nelle scuole. Nell’ordine figurano Svezia, Austria, Germania, Albania, Gran Bretagna, Estonia, Finlandia, Repubblica Ceca, Spagna e Francia. L’Italia risulta agli ultimi posti per la mancanza dell’obbligo dell’educazione sessuale nel sistema scolastico. Mi pare però importante ricordare che Francesco Giubilei, nell’articolo del 23 novembre scorso sopra richiamato, scrive anche: “In realtà i dati ci dicono che nei Paesi in cui si svolge l’educazione sessuale le uccisioni delle donne sono più che in Italia. Per fare qualche esempio, in Svezia c’è dal 1955, in Germania dal 1968, in Francia dal 2001, in Gran Bretagna dal 2020, tutte nazioni con un tasso maggiore di femminicidi che da noi. A testimonianza di come non sia questa la strada da perseguire per contrastare la violenza contro le donne”.

Un’affermazione scoraggiante, questa appena richiamata. Ci sono margini di speranza?

Vista l’argomentazione fin qui sviluppata, credo che il progetto “Educare alle relazioni” possa essere considerato passo necessario ma non sufficiente. Accanto a punti di forza, compreso il coinvolgimento delle associazioni di genitori di differenti posizioni, vi colgo diversi limiti: il tratto della facoltatività, con la collocazione delle 30 ore del percorso oltre l’orario scolastico obbligatorio, da cui una concezione di aggiunta che diventa anche separazione rispetto alle varie discipline scolastiche, misconoscendone il ruolo di fonte culturale per la formazione degli allievi anche in tema di sessualità; il rapporto non chiaro tra i compiti del docente moderatore e quelli degli esperti chiamati a operare con gli studenti; il fatto che i destinatari siano soltanto gli studenti della secondaria di secondo grado; la mancanza, almeno per il momento, di indicazioni precise sul riconoscimento economico agli insegnanti coinvolti. D’altro canto la sessualità è un costrutto multidimensionale, che rimanda all’identità personale nelle componenti psichica, affettiva, emotiva, spirituale, etica e ai rapporti intra e interpersonali, con riferimenti alla socialità e alla cultura. L’educabilità di queste dimensioni non può essere solo compito della scuola, anche se orientata a soluzioni virtuose. E’ imprescindibile il ruolo della famiglia, non solo e non tanto nel dare le opportune informazioni, ma come luogo in cui fin dalla nascita i figli possano respirare la cultura del rispetto reciproco, a partire da quello fra le figure genitoriali. L’educazione alla convivenza civile ambisce a questa finalità ultima e il congegno pedagogico-didattico che la caratterizza restituisce la portata di questa sfida. Essa non è infatti soltanto uno spazio di giustapposizione delle diverse “educazioni” che si sono avvicendate nel contesto scolastico ma, come precisa Bertagna, è “luogo esemplare di una strutturale ologrammaticità educativa”. Luogo che si fa garante dell’unità della persona intesa nelle differenti declinazioni di sé, con gli altri, con il mondo e con la cultura.

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