11 ottobre 2025

La scomparsa di Redaelli. “Claudio, quegli anni non tornano ma i ricordi non si cancellano”

di Claudio Bottagisi

Ieri un collega, appena appresa la notizia della morte di Claudio Redaelli, mi ha scritto: “Un altro che ci lascia di un’epoca avvincente che ormai è finita…”. E che sicuramente non tornerà, ho subito pensato.

No, non tornerà, ne sono certo purtroppo. Non torneranno gli anni affascinanti del giornalismo, gli anni della gavetta necessaria per entrare in una redazione, gli anni in cui scrivere una notizia significava andare alla ricerca del maggior numero possibile di informazioni, verificarle e soltanto una volta fatto questo passaggio, dettaglio non trascurabile (almeno fino a qualche tempo fa) in questa nostra professione, pubblicarle.

Sì, erano gli anni belli del giornalismo, molti dei quali condivisi con Claudio Redaelli. L’incontro con lui risale agli anni Settanta, alle prime visite in quella piccola redazione del Punto Stampa in via Mascari a Lecco. Un unico locale, praticamente. Una sola scrivania e un paio di armadi per contenere le fotografie d’archivio da utilizzare di volta in volta. Ci trovavamo di primo mattino. Un’occhiata ai testi giunti in redazione e poi via a disegnare i menabò, rigorosamente cartacei.

Poi sono iniziate le avventure editoriali di Claudio, i suoi mille progetti che chissà quanti altri colleghi neppure avrebbero intrapreso. Non lui, no. Lui se aveva un’idea la portava avanti, senza se e senza ma. Se individuava un obiettivo, lo voleva (anzi, lo doveva) raggiungere, anche a costo di rimetterci di tasca propria.

Non si è mai interrotto il nostro legame, che negli anni è diventato di amicizia prima ancora che professionale. Quante telefonate, quanti consigli, quante trasferte, quante uscite per un pranzo o una cena: da “Danilo” a Vassena di Oliveto Lario, al “Corazziere” di Merone dall’amico Armando Camesasca, suo coetaneo, da “Orestino” a Lecco e in altri locali ancora. Si parlava di lavoro, certo, ma non soltanto. Anzi, il lavoro era un po’ una scusa - diciamola tutta - per mettere per un paio d’ore, come si usa dire, le gambe sotto il tavolo.

Poi nel 2006 la sua richiesta, naturalmente da me accettata di buon grado, di pubblicare un libro-diario su due miei viaggi in Israele e in Argentina. E dopo che quell’idea era andata in porto ricordo la sua soddisfazione nel constatarne il successo e nell’apprendere degli apprezzamenti ricevuti anche da personaggi di spicco della politica, dell’imprenditoria, della Chiesa e della cultura. Perché Claudio Redaelli era così, capace di “dare” e di entusiasmarsi, di non curarsi più di tanto di chi non dava peso ai suoi “progetti” e non avrebbe scommesso un soldo sul successo delle sue molteplici iniziative.

Claudio era un buono, era onesto, credeva nei suoi ideali che non ha mai rinnegato. Credeva nel valore dell’amicizia, aveva uno stile di vita e comportamenti inappuntabili. Ed era leale. Aggiungere che ha vissuto in prima persona, per lunghi anni, gli avvenimenti politici, istituzionali e culturali della terra lariana è oggi quasi scontato. Ma per tornare al messaggio del collega di cui facevo cenno all’inizio erano gli avvenimenti di quell’epoca avvincente che ormai è finita. L’epoca che negli ultimi anni anche Redaelli rimpiangeva.

Ciao, Claudio, non ti dimenticherò!

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