20 agosto 2021

Maria Beatrice Stasi: “Provo un grande dolore pensando a ciò che attende le donne afghane”

Scrive la mandellese, direttore generale dell’Asst “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo: “Dopo anni di battaglie, di pompose dichiarazioni sulla parità, sui diritti e sulla dignità colgo oggi un silenzio assordante. E un grande imbarazzo della politica”

Maria Beatrice Stasi


(C.Bott.) Si leva anche una voce mandellese nel coro di indignazione e di giustificata preoccupazione per il futuro delle donne afghane a rischio repressione dopo che nei giorni scorsi i talebani hanno preso il controllo di Kabul. E’ quella di Maria Beatrice Stasi, da gennaio 2019 direttore generale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo dopo aver ricoperto dal 2016 al 2018 lo stesso ruolo all’ATS della Montagna a Sondrio ed essere stata in precedenza direttore generale dell’Azienda ospedaliera Valtellina e Valchiavenna.

Quella che segue è la sua presa di posizione e, ad un tempo, il suo grido di dolore e il suo appello a battersi a qualsiasi livello perché le conquiste delle donne afghane non rischino di essere annientate.

In questi giorni provo un senso di profondo dolore pensando alla vicenda afghana, in particolare per il destino tragico che attende le donne di quel Paese. Penso che certe vicende valutate con gli occhi di una donna appaiano ben più terribili rispetto allo sguardo “generico” del mondo. E’ così quando si parla di violenza sulle donne, di discriminazione verso le donne, del trattamento spesso loro riservato sui social da tanti leoni da tastiera che ne giudicano il corpo, le frequentazioni o l’avvenenza.

Una donna conosce bene cosa può aspettarsi da chi la vuole offendere, denigrare o umiliare. Ci sono “tecniche” che agli uomini vengono generalmente risparmiate e la cronaca è piena di esempi per quanto riguarda la strada che, anche nel “moderno” Occidente, le donne devono ancora compiere verso una piena realizzazione e per ottenere nei fatti pieno rispetto.

Ma questo è poca cosa se confrontato con quanto si prospetta in Afghanistan. Proviamo a immaginare gli ultimi vent’anni in cui le donne afghane sono uscite dal terrore (chi non ha letto “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini?). Hanno tolto il burka, hanno potuto uscire di casa senza l’obbligo di essere accompagnate da un uomo, pena la fustigazione, hanno potuto guidare, andare a scuola, hanno potuto lavorare, hanno potuto curarsi e a loro volta curare come dottoresse, infermiere… hanno potuto vivere.

Di colpo tutto questo rischia di essere annientato: niente scuola, niente lavoro, niente autonomia da un uomo, niente di niente. E’ come se le donne italiane venissero catapultate a prima del 1946 (niente voto alle donne), al delitto d’onore, alla violenza sessuale come delitto contro la morale anziché contro la persona. Anzi peggio, perché alle donne è riservato un ruolo riproduttivo o, come si legge in questi giorni, di “premio” o “balocco” per i combattenti.

Una umiliazione che pone le donne a livello inferiore. Peraltro anche ad altre latitudini serpeggia sempre la tentazione di ricacciare indietro le donne quando mostrano troppa autonomia.

Dopo anni di battaglie delle donne, di pompose dichiarazioni da più parti sulla parità, sui diritti, sulla dignità colgo oggi un silenzio assordante. Colgo grande imbarazzo della politica, mentre noi siamo qui, le donne afghane sono là, forse nascoste, forse in piedi e con il petto in fuori per un ultimo sussulto di vita. Perfino nelle scene agghiaccianti di uomini affollati all’aeroporto per tentare la fuga non c’era l’ombra di una donna. Forse a loro è negato anche il diritto di tentare la fuga.

Il dolore che provo è grande e questa questione ci riguarda tutti, anzi direi che ci riguarda tutte. Perché la debolezza di tante donne in quella parte di mondo rende più deboli tutte noi, anche quelle che a queste latitudini hanno avuto istruzione, carriera, famiglia e ricoprono ruoli importanti nella società.

Ecco un bel cimento per chi vuol battersi per i diritti civili. Tante battaglie meritano di essere combattute, ma credo che la prima sia quella che riguarda metà dell’umanità, le donne.

A breve in un luogo del mondo le bambine verranno costrette a sposarsi, non avranno istruzione, non potranno aspirare a una professione. I corpi delle donne verranno mortificati, non risuoneranno le risate delle donne tanto belle quando ridono tra loro. Perfino i tacchi non risuoneranno perché le donne dovranno essere invisibili.

Se tutto ciò può succedere in una parte di mondo, il cancro può estendersi ad altre parti del pianeta e allora difendere le donne afghane significa difendere tutte le donne. Che la politica trovi la strada, che l’umanità si accorga che metà di essa è donna.

Maria Beatrice Stasi

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