21 agosto 2021

Mandello, l’Afghanistan e il ricordo di Luigi Pascazio, il ragazzo “nato con l’uniforme”

Nel 2013 erano giunti sul Lario dalla Puglia, per parlare di lui e del suo amore per gli alpini, mamma Maria e papà Angelo

Giugno 2013. Gli alpini mandellesi incontrano i genitori di Luigi Pascazio.


(C.Bott.) Le drammatiche notizie provenienti in questi giorni dall’Afghanistan riportano alla mente (e al cuore) dei mandellesi e in particolare degli alpini un giorno di maggio di undici anni fa quando Luigi Pascazio, originario della Puglia, caporal maggiore delle penne nere, rimase ucciso in un attentato che pose fine anche all’esistenza di Massimiliano Ramadù, sergente di Velletri.

Era appunto il 2010 e Pascazio si trovava su un blindato che faceva parte di una colonna di automezzi in fase di spostamento nel Nord-est del Paese, in un’area controllata dal contingente italiano.

La notizia della morte di Pascazio era arrivata in Puglia poco dopo la tragedia, comunicata al padre, un poliziotto in servizio alla Questura di Bari al momento dell’attentato. Luigi era originario di Bitetto e viveva appunto con il padre, con mamma Maria e con la sorella Valentina. Il sottufficiale era di stanza a Torino.

Aveva vinto nel 2006 il concorso da volontario in ferma prefissata di quattro anni e faceva parte della Brigata Taurinense, con base presso la caserma Garibaldi di corso IV Novembre.

Per Pascazio quella in Afghanistan era la prima missione all’estero, mentre in precedenza aveva partecipato a tre missioni in Italia: per due volte nell’operazione “Domino” e una volta in un’operazione di sicurezza in pattuglie miste. Era partito per il Medio Oriente nel marzo 2010, dunque soltanto due mesi prima dell’attentato.



Perché, però, quel riferimento a Mandello e alle “sue” penne nere? Perché una sera di giugno del 2013 erano arrivati dalla Puglia proprio sul Lario, per parlare di Luigi e del suo amore per gli alpini, i genitori di quel giovane: mamma Maria e papà Angelo.

Fu una serata di ricordi e di emozioni. Una serata voluta dall’Ana per trasmettere i valori più autentici scaturiti da una storia vera, purtroppo con un finale tragico ma con un messaggio d’amore: quello di un ragazzo poco più che ventenne verso la patria, la famiglia e, appunto, gli alpini.

In quella stessa occasione era stato ricordato il legame che unisce la terra lariana a Bitetto. “Era il 1993 - era stato spiegato al teatro “San Lorenzo” - e quell’anno le penne nere mandellesi si erano recate in Puglia per l’annuale adunata nazionale dell’Ana. Luigi Pascazio, 8 anni, alunno delle elementari, tolse il cappello alpino a Michele Campanella, penna nera del gruppo Ana di Mandello originario proprio di Bitetto, e se lo mise in testa. Campanella gli disse: “Ma lo sai che chi mette il cappello alpino lo porta fino alla morte?”. Ebbene, Luigi di quel cappello si innamorò subito, al punto da fargli dire che da grande avrebbe fatto l’alpino. E così fu”.

Adesso - con tutti i Tg, i giornali e i social che raccontano del dramma di un intero Paese, l’Afghanistan appunto - il ricordo di quella serata e di quei racconti  riaffiorano in tanti mandellesi. Insieme alla memoria di quel ragazzo “nato con l’uniforme”.


 

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