19 aprile 2022

Mandello. Gli anni Trenta e la colonia elioterapica “Carlo Comini”, dove oggi c’è il Lido


 

La storia dei giardini pubblici di Mandello Lario, della Gera e della zona a lago del paese in un’altra puntata sempre a firma di Luciano Rossi. Quelli che seguono sono i suoi nuovi “appunti”.

Dall’altra parte della Gera, sulla sponda destra del Meria, intanto cosa succedeva? Il terreno era ancora come una volta: ghiaioso e sabbioso e per lo più incolto, ma negli anni Trenta ci furono due grosse novità pubbliche che trasformarono radicalmente il paesaggio e la funzione: la colonia solare dove oggi c’è il Lido e il campo sportivo, entrambi però per merito e a spese di privati.

Le colonie elioterapiche, nate a fine Ottocento a scopo terapeutico contro la tubercolosi e le tante gracilità dei bambini, ebbero proprio in quegli anni un notevole sviluppo anche in senso sociale, perché pochissimi potevano permettersi una vacanza al mare o in montagna, e in Italia il regime ci teneva molto.

Ma a Mandello la colonia ha dentro di sé, nel suo nascere, anche un dramma personale indicato dal nome: colonia elioterapica “Carlo Comini”. Chi era? Carlo fu un giovane dal destino sfortunato. Nel gennaio 1929, quando non c’erano ancora gli antibiotici e lui era un bravo bambino di 11 anni in collegio a Merate (la famiglia ha conservato le lettere affettuose e diligenti che inviava a casa), cominciò a star male e, portato all’ospedale, in breve morì, forse per una peritonite.

Il padre Domenico era molto conosciuto a Mandello: aveva l’abitazione e un’officina meccanica dalle innovative produzioni in via Parodi, nell’attuale stabile di fronte a Bisbino. Viene descritto come un uomo ingegnoso e generoso, anche se oggi è facile riconoscere che, come molti a quel tempo, specie imprenditori, si era schierato dalla parte sbagliata della storia, rivestendo anche la carica di segretario del Fascio locale.

Ma nella storia ci sono anche il dolore dell’uomo e i nostri tentativi di dargli un senso. Domenico pensava al suo bambino ma anche a quelli che avevano la stessa età e così fondò la colonia e ce la regalò, forse già nel ’30, al solo patto che ne tenessimo vivo il nome. Credo che entrambi meritino un posto nella nostra memoria.

Aggiungo, su Domenico, che negli anni ’50 sarà ancora lui a regalare al Comune il famoso cannone dei giardini. L’aveva comprato a Genova, dopo il ritrovamento durante uno scavo, e l’aveva tenuto per anni nel suo cortile per la gioia dei nipoti che lo usavano per i loro giochi.

Il regime, dicevamo, teneva alle colonie e ai campi solari. Come sempre, in due direzioni: per la salute fisica dei bambini (bene) e per la loro educazione fascista (un po’ meno bene).



Abbiamo una lunga circolare stampata del prefetto di Como del ’33 dedicata al tema, in cui vengono date una serie di indicazioni che tutti in linea di principio avrebbero dovuto osservare. Riguardano la scelta della località, con esposizione al sole tutto il giorno e alberi ombrosi, la disponibilità di acqua potabile, le latrine e la lotta contro le mosche, i bagni di aria e la gradualità progressiva della cura elioterapica, le docce, l’igiene, l’alimentazione, limitando al minimo la carne e “somministrandosi a preferenza minestre nutrienti e abbondanti, uova, marmellata e frutta ben matura”, la durata di almeno 40 giorni e “per ovvie ragioni una netta separazione tra reparto maschile e femminile, dovendosi evitare qualunque promiscuità”, poi il controllo quotidiano da parte del sanitario incaricato, e “infine, perché i bambini siano abituati sin dalla più tenera età al doveroso culto verso la patria, dispongo che ogni colonia sia dotata della bandiera nazionale, alla quale, giornalmente, alla mattina e alla sera, con rito fascista, dovrà rendersi devoto omaggio”.

Analogamente lo stesso Partito nazionale fascista, in un documento del medesimo anno sulle ispezioni a tali strutture, sottolinea che “i fanciulli affidati alle nostre colonie sono ciò che di più caro vi è per la patria, per il fascismo e per le famiglie” e raccomanda “vitto abbondante e ben confezionato”, pulizia, assistenza, “esercizi fisici adeguati alle forze dei bambini, educazione prettamente fascista!!” (con due punti esclamativi a fine testo).

Le ispezioni dovevano avvenire davvero, perché una, sempre nel ’33, sanzionò la colonia di Mandello. Scrive il prefetto al podestà: “Nella visita eseguita a codesto Campo solare ho avuto modo di constatare che la vigilanza e l’assistenza dei ragazzi ammessi a frequentarlo non era tenuta con l’interessamento necessario”.

Il personale si giustifica col fatto che è il primo giorno del secondo turno dei maschi, e lui rincara la dose: “Tale giustificazione non regge, in quanto proprio dal 1° giorno bisogna dare ai ragazzi l’impressione della disciplina giusta e ferma cui devono sottostare”.

Inoltre ha da ridire sullo spezzettamento dei turni, che ridurrebbe l’efficacia della cura. Il podestà si allerta subito scrivendo al presidente della colonia, che avrà sicuramente preso i provvedimenti necessari.

La colonia durò a lungo ed è ricordata con simpatia dai nostri anziani che la frequentarono: c’erano la sabbia e l’altalena, si marciava, si cantava, si mangiava e si faceva il bagno. Poi scavalcò anche la guerra e riaprì con le Acli, i Lavoratori cristiani, nel ’47.

Luciano Maria Rossi

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