25 aprile 2025

Mandello e il 25 Aprile. “Non abbassiamo la guardia verso ogni comportamento antidemocratico”

Il sindaco Riccardo Fasoli: “Essere antifascisti oggi significa battersi affinché i princìpi costituzionali siano pienamente applicati”

Il sindaco, Riccardo Fasoli, pronuncia il discorso commemorativo.

(C.Bott.) “Va fatto un profondo esame di coscienza. Siamo arrivati al 25 aprile del 1945 con una guerra che sì, abbiamo perso. Un regime che sì, abbiamo sostenuto. Questo non va dimenticato, perché è il pericolo più grande che possiamo correre: dimenticarci di cosa siamo stati capaci di condividere o di cosa abbiamo lasciato fare. E’ evidente che non possiamo smettere di stare allerta nei confronti di ogni comportamento fascista e antidemocratico. Ne va del nostro futuro e di quello dei nostri giovani”. Riccardo Fasoli, sindaco di Mandello Lario, ha commemorato questa mattina al cimitero del capoluogo l’ottantesimo anniversario della Liberazione.

Il sindaco aveva introdotto il suo intervento ricordando come spesso nella retorica dei discorsi legati a questa ricorrenza traspaia un senso di terzietà, “come se i fascisti e i nazisti fossero state persone terze, subìte dalla popolazione italiana”. Al termine del conflitto mondiale - ha aggiunto - abbiamo cercato di metterci tra i vincitori, saltando tutti sul carro dei buoni, gli antifascisti, come se il ventennio fosse stato una parentesi subìta, da cui il 25 luglio 1943, con la caduta del duce, fummo liberati. Improvvisamente tutto ciò che era successo prima di quella data era colpa di pochi. Dopo la Liberazione del 25 aprile 1945 la rimozione delle responsabilità fu collettiva, le colpe tutte e soltanto di Mussolini, di dieci gerarchi eliminati a Dongo, del re poi esiliato”.

“Alla fine del 1943 - ha continuato Fasoli - i partigiani erano circa 18mila, mentre i volontari fascisti che partirono per Salò oltre 200mila. Del resto era più ovvio per un giovane educato nella retorica del ventennio scegliere la continuità del fascismo piuttosto che la frattura coraggiosa della Resistenza. In 235mila hanno ricevuto la qualifica di partigiano una volta finita la guerra, ma a fare domanda furono oltre 600mila. E’ evidente che c’è stato un passaggio da una posizione all’altra. Molti che erano stati fascisti sono poi entrati nelle formazioni partigiane, alcuni per sincera conversione altri per puro opportunismo”.

L’Italia del ’45 era del resto un Paese da ricostruire e aveva bisogno delle istituzioni. “Dei 1.848 professori universitari in servizio nel 1931 - ha osservato il primo cittadino - soltanto 13 ebbero il coraggio di opporsi al giuramento di fedeltà al duce. Idem per i magistrati, per i funzionari. L’amnistia Togliatti nel 1946 permise di rimuovere la resa dei conti della primavera 1945, ma anche la questione delle foibe e dell’esodo e le complicità e le contraddizioni dei vari schieramenti politici. Per far sopravvivere una nazione dilaniata da un conflitto civile e sociale devastante si decise di non parlare più della storia precedente l’8 settembre”.

Quindi un altro concetto: “Invece di studiare la storia recente, di cui i giovani non sanno assolutamente nulla, continuiamo a parlare di antifascismo.  E’ ridicolo, però, ridurre l’antifascismo a un titolo, a una dichiarazione astratta di principio. Da esso è nata la Costituzione democratica e essere antifascisti oggi significa battersi affinché i princìpi costituzionali siano pienamente applicati. La politica deve essere la risposta ai problemi reali sulla base dei princìpi scritti e condivisi nel ‘48, non la richiesta di dichiarazioni a uso mediatico”.

E più avanti nel suo discorso commemorativo: “Questa ricostruzione storica mi porta a dire grazie a tutte le associazioni e alle istituzioni che non smettono di rinsaldarci contro i princìpi antidemocratici, in particolare all’Anpi. Credo sia importante ricordare la prima resistenza, quella dei 18.000 mila della fine del ‘43, e tutte le persone che si sono aggregate alla resistenza per spirito di libertà, per spirito di sopravvivenza propria e delle proprie comunità e anche quelle che lo hanno fatto per sincero pentimento”.

Infine l’invito a un esame di coscienza: “Siamo arrivati al 25 aprile 1945 con una guerra che sì, abbiamo perso. Un regime che sì, abbiamo sostenuto. Questo non va dimenticato, perché è il pericolo più grande che possiamo correre: dimenticarci di cosa siamo stati capaci di condividere o di cosa abbiamo lasciato fare. E’ evidente che non possiamo abbassare la guardia nei confronti di ogni comportamento fascista e antidemocratico. Ne va del nostro futuro e di quello dei nostri giovani”.

Non è mancato, nell’intervento di Fasoli, un riferimento alla recente scomparsa di papa Francesco. “Nel suo pontificato papa Francesco ha sempre messo al primo posto la fraternità quale principio fondamentale della fede cristiana - ha evidenziato - Nell’enciclica  Fratelli tutti scrive: “Tutti siamo fratelli”, richiamando alla nostra comune appartenenza alla famiglia umana. La fraternità, per il pontefice, non era soltanto un valore cristiano ma un principio per unire tutte le persone di buona volontà̀, a prescindere dalla loro fede. Il suo era un appello a una solidarietà̀ concreta che si manifesta nell’aiuto reciproco, nell’ascolto e nel rispetto della dignità̀ di ogni individuo”.

Quindi il passaggio finale del suo discorso commemorativo: “Il 25 aprile ci conservi antifascisti tanto quanto lo è la nostra bellissima Costituzione e la nostra repubblica e ci tenga lontano da ogni forma di discriminazione e di odio. Un impegno comune, da mettere in campo in ogni momento della nostra vita affinché si mantengano nel nostro Paese la libertà individuale e un regime di democrazia che impedisca in futuro il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e assolutismo. Questo è l’impegno di tutti, in ogni campo e in ogni momento. Perché il rispetto dell’altro sia più importante delle nostre convinzioni, perché il futuro del singolo non è futuro se non coincide con quello della comunità in cui vive”.

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