24 novembre 2020

“Non limitiamoci a dire agli studenti di fare una ricerca in rete. Le metodologie fanno la differenza”

L’ex docente mandellese Adriana Lafranconi e la didattica a distanza: “Chi crede di insegnare travasando conoscenze nella testa dei propri alunni perché in un determinato intervallo di tempo fornisce loro una serie di informazioni fa male il suo lavoro, sia che lo faccia in aula, in presenza, o attraverso il digitale”



(C.Bott.) Ha maturato “sul campo” una lunga esperienza, avendo insegnato dalla fine degli anni Sessanta al 2002 e avendo successivamente ricoperto l’incarico di dirigente scolastica, oltre a essere stata ai vertici dell’Ufficio scolastico regionale e di quello provinciale di Lecco. Cultrice di pedagogia presso l’Università degli studi di Bergamo, ha svolto ruoli significativi nel  campo della formazione e in ambito culturale, pedagogico, amministrativo e gestionale.

Consulente didattica e pedagogica dell’Istituto “Santa Giovanna Antida” di Mandello e relatrice in attività e iniziative riguardanti proprio la didattica, la valutazione, la metodologia e l’organizzazione scolastica, ha collaborato con la rivista “Scuola italiana moderna” e nel corso di questo 2020 dato alle stampe il libro Apprendere a leggere e scrivere - Come e perché edito da “Studium”.

Adriana Lafranconi, mandellese, ha insomma le carte in regola per dare un parere qualificato e circostanziato sulla didattica a distanza e sulla didattica digitale integrata, argomenti di cui tanto si è discusso dopo i mesi del primo lockdown e la chiusura delle scuole e che sono tornati di stretta attualità poche settimane dopo l’inizio del nuovo anno scolastico, in concomitanza con i provvedimenti adottati a inizio autunno a seguito della seconda ondata di contagi da coronavirus. Sono così ripresi i dibattiti sulle piattaforme da utilizzare, come anche sulla disponibilità dei device e su altre tematiche correlate.

“Nel 2006 - premette Adriana Lafranconi - l’Europa ha inserito la digitale  tra le otto competenze chiave. Le raccomandazioni europee a questa competenza hanno attribuito nel 2018 una considerazione ancora maggiore, descrivendola come spazio di apprendimento, comunicazione, creatività, collaborazione, spirito critico, curiosità, riflessività, cittadinanza attiva, etica e inclusione. Alla scuola italiana era già stata offerta prima, con la legge 53/03, l’opportunità di investire sul digitale, ma l’accoglienza (negativa) riservata a quella stessa legge aveva impedito di cogliere quella che adesso molti riconoscono come lungimiranza”.

Insomma ci si è fatti trovare impreparati?

“Negli ultimi cinque anni, dunque ben prima dell’emergenza Covid, il Miur aveva speso mezzo miliardo di euro affinché scuole e docenti fossero pronti a questa rivoluzione, perciò farsi trovare impreparati su questo piano dal coronavirus, come purtroppo emerso durante la prima ondata, ha messo in evidenza questioni che vanno oltre i limiti relativi alla disponibilità di device e alle infrastrutture di reti. Limiti che certamente vanno al più presto risolti, per evitare che continuino a essere concausa delle già forti disuguaglianze formative degli allievi”.

A quali questioni fa riferimento?

Durante il lockdown nello scorso anno scolastico una parte consistente dei docenti italiani, dopo il primo momento di disorientamento, si è messa in gioco, manifestando senso civico, etica e responsabilità  encomiabili. Ma è indubbio che in molte realtà la DaD ha mostrato evidenti limiti. In primis, l’aver ritenuto di dover trasferire la didattica d’aula all’online, senza considerare che il contesto di apprendimento era mutato. All’epoca della trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, il maestro Alberto Manzi, che i non più giovani certamente ricordano, si era reso conto che fare formazione in uno studio televisivo, con i suoi linguaggi e i suoi mezzi, anziché in un’aula, comportava un cambiamento delle regole del gioco. Durante la DaD dei mesi scorsi, invece, è stato tutt’altro che infrequente vedere insegnanti seduti al tavolo del proprio salotto fare lezione come se fossero seduti alla cattedra, spesso con esclusiva modalità frontale, e assegnare lo stesso tipo di compiti che gli allievi avrebbero avuto se fossero stati in classe. Si è contrapposta la presenza alla distanza, si è tanto discusso sulla valutazione, ma spesso senza considerare che, essendo mutato il contesto d’apprendimento, altre dovessero essere le forme di valutazione. Ma da ogni esperienza certamente si impara e anche la prima DaD ci ha insegnato molto”.

Adriana Lafranconi


Che cosa può avere appreso la scuola nei mesi scorsi, attraverso la DaD?

Si è acquisita confidenza con tutti gli strumenti tecnologici a disposizione, con le relative forme di comunicazione, con la consapevolezza della necessità di metterli in interazione, per valorizzarne in questo modo le potenzialità. Se le lezioni live attraverso la piattaforma sono adeguate per soddisfare determinati bisogni della formazione, ad altri si può meglio rispondere con Whatsapp o con la ricerca in rete,  oppure con Instagram. Si è compreso, credo, che non può essere scaricato sulla necessità di ricorrere ai mezzi tecnologici l’insuccesso (o il successo) dei percorsi educativi: sono infatti le metodologie didattiche a fare la differenza. Un docente che crede di insegnare travasando conoscenze nella testa dei suoi alunni, perché in un dato intervallo di tempo fornisce loro una serie di informazioni, fa male il suo lavoro, sia che lo faccia in aula, in presenza, o piuttosto attraverso il digitale”. 

Non mancano tuttavia contesti e comportamenti virtuosi…

“Indubbiamente abbiamo contesti virtuosi, in cui la DaD ha portato al miglioramento della didattica in generale attraverso la creazione di ponti tra la presenza e l’online, anche a scuole aperte. Scrivono due esperti a proposito di didattica digitale: Imboccare con serietà la strada di questa didattica è un obbligo morale, riconoscere che non è solo un ripiego, è un passaggio fondamentale verso il rinnovamento della didattica. Lo scenario che si apre davanti a noi dopo la pandemia ci obbliga a riflettere sul nostro consueto modo di far lezione: davvero non c’era nulla da cambiare? Davvero era il migliore dei mo(n)di possibili?” (B.Bruschi, A.Perissinotto, Didatica a distanza. Com’è, come potrebbe essere, Laterza, 2020, p. 29)”.



Vi sono aspetti della DaD su cui è necessaria ancora un’approfondita riflessione, per capitalizzare l’emergenza del lockdown?

“Penso che molto ancora ci sia da fare per capire che nella DaD o nella DDI il docente deve divenire un animatore, un facilitatore dell’apprendimento, capace di guidare gli allievi ad avvalersi in modo critico e costruttivo delle risorse che la rete offre, piuttosto che consumarle. Chi si limita a dire ai propri studenti di fare una ricerca in rete non agisce in maniera differente da chi, negli anni Sessanta del secolo scorso,  invitava i propri allievi a sintetizzare dall’Enciclopedia “Conoscere”. O meglio, agisce in maniera più pericolosa, perché sappiamo che la rete non è sempre educativa. Per potenziare una didattica attiva e collaborativa, occorre esplorare e valorizzare tutte le risorse che le piattaforme offrono. La stessa gestione dei tempi nella formazione online deve essere oggetto di riflessione, per una pluralità di motivi (di salute, di durata dell’attenzione). Infine occorre investire sull’integrazione, sulla sinergia fra la modalità sincrona e quella asincrona, perché ciascuna di esse ha punti sia di forza sia di debolezza. Occorre soprattutto superare la tendenza, ancora  forte, a discutere degli aspetti tecnici, per concentrarsi invece sul soggetto al cui successo formativo si deve mirare attraverso una didattica rinnovata, a prescindere dal fatto che sia in presenza, DaD, o DDI. E’ al bene della persona dei nostri allievi che si deve pensare, per cercare le risposte migliori al loro diritto di educazione”.

1 commento:

  1. L' unica didattica possibile e' in presenza! Chi lo nega mente, sapendo di mentire!

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