10 luglio 2022

Anni Settanta, Mandello Lario guarda (tra le polemiche) alla costruzione del depuratore



Sono gli anni Settanta e a Mandello Lario prende corpo la realizzazione dell’impianto di depurazione. Su questa opera e sui retroscena che si sono accompagnati alla sua costruzione è incentrata la nuova pagina di storia della zona a lago del paese a cura di Luciano Rossi.

Eravamo al campo sportivo, ma grosse novità si preparano all’esterno. Del ’76 è la menzione di uno studio preliminare affidato all’ingegner Paroli per la costruzione di un ponte sul Meria. Ricordiamo che allora per passare dai giardini al campo e ai Mulini esisteva soltanto una passerella pedonale uguale a quella di accesso al lido.

Il traffico automobilistico doveva invece risalire alla Madonna del Fiume, lì attraversare il ponte e poi ridiscendere sull’altra sponda. Anche il Vellutificio Redaelli era interessato, tra l’altro anche a un piazzale più ampio che rendesse meno difficoltose le manovre degli autoarticolati.

Ecco perché si giunse nel ’79, con accuse di favorire interessi privati, a una permuta di terreni nella zona tra il Comune e Redaelli, che ebbe il piazzale che chiedeva.

Peraltro il Vellutificio, nato nel 1893, entrò poi in una crisi irreversibile che lo avrebbe portato alla chiusura definitiva nel 2012, lasciando enorme spazio al confine del lido, sulla cui utilizzazione si discute tuttora.

Poco più in là, negli anni ’70, era in avvio il depuratore. Già il proporlo era all’avanguardia, anticipando città come Lecco, Como o Milano, che ne erano ancora sprovvisti, e in più il tipo stesso di progetto. Questo infatti prevedeva il trattamento delle acque “reflue”, cioè sporche, provenienti dagli scarichi domestici, industriali eccetera, mediante ossigeno puro, che abbatte il carico batterico molto meglio della semplice aria, quindi non ha bisogno di vasche all’aperto.

Inoltre un depuratore è tanto più sicuro e meno costoso, anche come gestione, quanto più è posto in basso, perché le acque sporche vi giungono per caduta libera senza l’ausilio di pompe. Per noi, ovviamente, è la zona a lago. Ecco perché il progetto iniziale, affidato nel ’74 alla Dagh Watson di Milano, lo prevedeva addirittura in Poncia, che poi venne scartata in quanto rivelatasi non idonea agli accertamenti di stabilità.



Qualcuno propose anche l’area Cima, vicina all’attuale Iperal, ma la scelta definitiva, nel ’79 e non senza contrasti, fu quella che vediamo, nella località un tempo denominata Serraglio e che in parte era ancora demaniale in quanto facente parte dell’alveo del Meria.

L’area superò il “sondaggio e prove penetrometriche” e pochi mesi dopo venne approvato il “progetto esecutivo aggiornato”, eseguito dalla stessa ditta con l’ingegner Garrione, per un importo complessivo di 1.734.700.000 lire. Tale scelta comportò forti modifiche tutt’attorno, con la costruzione di un ponte molto elevato al posto della vecchia passerella pedonale e il rialzo di tutte le vie che vi accedono: Medaglie olimpiche, Maestri Comacini, Marinai d’Italia, e via al Campo sportivo.

Le polemiche dell’opposizione si appuntarono sul modo di procedere, il ritardo dei lavori e la mancanza di una visione organica, nonché gli aspetti estetici. Un consigliere bollò la futura opera come “il parallelepipedo dell’impianto ‘insultante’ per il paesaggio” e su questo in particolare 61 cittadini sottoscrissero nello stesso 1979 una petizione. Vi si legge: “Il complesso verrebbe a introdurre un elemento architettonico di grave disturbo nel tessuto urbano, inserito tra i giardini pubblici (vanto di Mandello) e il Santuario della Beata Vergine del Fiume che è tutt’uno con la piazzetta contornata dalle cappelle della Via Crucis, tra le più suggestive che si conoscano”. Avevano ragione? Si poteva fare diversamente.

E’ curiosa la replica di un assessore, il quale dichiarò che “opere antiestetiche ce ne sono infinite (la scuola elementare, il capannone Redaelli, eccetera) per cui non vedo il gran peso di queste argomentazioni”. Aveva però premesso che altre aree “non ce ne sono” e che l’interesse sovracomunale del depuratore, nato per convogliare anche i reflui di Abbadia Lariana e Lierna, “esige dei sacrifici da parte della collettività”.

La petizione fu respinta, i lavori cominciarono e di lì a pochi anni il depuratore entrò in funzione, ma su un altro punto i firmatari furono malauguratamente buoni profeti: “Si deve anche considerare che nella zona potrebbero formarsi delle situazioni olfattive di degrado per l’ambiente abitativo”. Purtroppo è quello che succede tuttora, con l’odore che esce dal fumaiolo e invade le vie dei dintorni seguendo la direzione del vento. Non crediamo però sia impossibile risolvere il problema.

Luciano Maria Rossi

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