14 luglio 2022

Mandello e gli appunti di storia sui giardini pubblici. La fine dell’escavazione in “Poncia”



Altri appunti di storia, altri provvedimenti e novità nella zona a lago di Mandello Lario in una nuova “puntata” a cura di Luciano Rossi.

Torniamo ai giardini. Un altro provvedimento risalente ai primi anni Settanta lo conosciamo già: è lo spostamento, nel 1971, del monumento ai caduti. Forse fu dovuto alla nuova sistemazione per esigenze di traffico (e di parcheggio) di piazza Giovanni XXIII (allora intitolata a Garibaldi), su cui si affacciava con bell’effetto. L’area dei giardini prescelta fu a destra dell’ingresso principale, dove il monumento all’inizio fu circondato da cipressi, poi sostituiti dai pini marittimi, e aveva sul davanti aiuole di canne di vetro fiorite tutta l’estate.

Intanto in “Poncia” continua quell’attività di scavo che si era sempre svolta in forma autonoma, separata anche fisicamente dal complesso dei giardini e che del resto era in qualche modo necessaria per impedire accumuli eccessivi di sassi e sabbia in Gera. Ora c’è un cambio di gestione. Chiudono nel ’62 i Bonacina, che avevamo trovato come concessionari già negli anni ’30. In realtà avevano cominciato facendo trasporti con carro e cavallo dalla loro sede in quella che nel borgo si chiamava piazza al Lago, o comunemente “piazzetta”, dedicata dopo la guerra al XXV Aprile.

A loro succedono inizialmente i fratelli Gaddi Paolo e Germano e poco dopo il solo Antonio, figlio di Paolo, che proseguirà a estrarre sabbia e sassi per un trentennio, fino ai primi anni ’90. La ditta pagava una cifra forfettaria e aveva anche l’incarico di tenere in ordine il torrente. Anzi, a proposito delle famose arginature sempre da sistemare, fu proprio Paolo a costruire sulla sponda sinistra, quando assunse la concessione, il primo argine in cemento al posto di quelli realizzati fino allora in sasso di Moltrasio o di Olcio-Grumo, come se ne vedono anche oggi risalendo il torrente.

Il boom economico significò molto per il loro lavoro. L’edilizia era in piena espansione e c’era un gran bisogno di materiale da costruzione. Antonio ricorda che le maggiori imprese del territorio avevano i loro operai in vari punti del Meria per scavare in proprio la sabbia. Dice che era un lavoro molto duro, specie quando veniva fatto tutto a mano.

Papà Paolo, che doveva essere un tipetto vivace da bambino, gli raccontava che suo padre lo sgridava con questa minaccia, sicuramente proverbiale a Mandello: Té te see un malnat e te naree a finé giò in Poncia a fà la sabia, ovvero “Sei un discolo e andrai a finire in Poncia a scavare la sabbia”. E lui ci andò davvero, ma per farne la sua professione e addirittura trasmetterla al figlio!

Sempre a proposito della “Poncia”, sono quelli gli anni che ne modificano la fisionomia, facendola avanzare verso il lago. Nel fervore edilizio, ogni volta che si scavava per costruire un nuovo condominio o si abbatteva qualcosa di vecchio si aveva una gran quantità di materiale inerte da eliminare e lo si faceva appunto da lì, dove il lago, dopo un breve pianoro a 33 metri sotto il livello dell’acqua, scivola in basso a grande profondità.

Chi conosce bene la zona ricorda anche quante altre cose, come stracci, bidoni di vernici e solventi, immondizie varie, venivano bruciate e sotterrate poco oltre la fontana. Anche la sensibilità ecologica ha i suoi tempi di sviluppo.

I lavori di scavo e scarico, comunque, col tempo decaddero fino a terminare nei primi anni ’90. Erano oltretutto attività ingombranti e rumorose, soprattutto per la loro collocazione adiacente a uno spazio di tranquillità come i giardini e il Comune era sempre più restio a tollerare la situazione. Ma forse alla loro fine contribuì anche il terribile incidente in cui perse la vita, precipitando nel lago con il camion, Luciano Gianola.

Era venuto anche lui, nel suo turno di notte in quel giorno di novembre del 1980, a scaricare a lago in “Poncia” il materiale proveniente dalle gallerie della superstrada, allora in costruzione. I camionisti si avvicinavano alla costa in retromarcia, con la portiera aperta per controllare la posizione e il cassone che si alzava.

Cosa accadde a Luciano? Fu il fratello a dare l’allarme al mattino, quando non lo vide tornare a casa. In Poncia si notava una macchia di gasolio a una decina di metri dalla riva. Intervennero i sommozzatori, con visibilità pessima perché era ormai passato del tempo e molti altri avevano gettato il loro carico nel lago. Il camion fu poi ritrovato (e recuperato) a dodici metri di profondità, rovesciato sul fianco destro con il cassone sollevato, ma del corpo di Gianola, nonostante ripetute ricerche, mai più nessuna traccia.

Luciano Maria Rossi

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