13 gennaio 2021

Enrico Berlinguer e la testarda coerenza della sua azione politica

Nel 1970 l’incontro a Botteghe Oscure con il futuro leader del Partito comunista italiano che seppe avviare il processo di distanziamento dall’Unione Sovietica e l’elaborazione dell’eurocomunismo

Enrico Berlinguer (a destra) con Claudio Redaelli (a sinistra) a Botteghe Oscure nel 1970.


di Claudio Redaelli

Era il 1970. Sono passati cinquant’anni dalla data del mio incontro a Botteghe Oscure con Enrico Berlinguer, dal ’72 all’84 segretario generale del Partito comunista italiano dopo essere stato dal ’49 al ’56 alla guida della Fgci, la Federazione giovanile comunista italiana.

Nativo di Sassari, classe 1922, Berlinguer morì a Padova l’11 giugno 1984 a seguito di un ictus che lo colpì durante un comizio.

Svolse un ruolo di grande importanza nel movimento comunista internazionale con l’avvio del processo di distanziamento dall’Unione Sovietica e l’elaborazione di un modello alternativo che prese il nome di eurocomunismo, senza dimenticare - per quanto riguardò lo scenario nazionale - il suo tentativo di dar vita al compromesso storico, progetto a cui collaborò con Aldo Moro.

Personaggio di indiscussa levatura e molto popolare, rispettato dagli avversari politici e amato dai militanti del Pci, Berlinguer fu raccontato in modo esemplare da Giuseppe Fiori, inviato speciale di TV7, vicedirettore del Tg2 e direttore di Paese Sera, nel libro Vita di Enrico Berlinguer pubblicato da Laterza nel 1989 in cui ne delineò la figura di un rinnovatore, di straordinaria attualità anche (ma non soltanto) per la questione morale.

E’ stato anche dileggiato, Berlinguer, in particolare perché voleva un Pci non omologato alle altre forze politiche. “Diverso - scrisse Fiori in quello stesso libro - ma non biologicamente, non perché toccato in fronte da chissà quale unguento divino. Lo voleva diverso politicamente, una diversità da chi praticava lo svaligiamento del pubblico erario, l’occupazione parassitaria dello Stato, l’uso privato del bene pubblico.



Agli avversari che chiedevano al Pci di mutare natura lui rispondeva: Il nostro partito dovrebbe finirla di essere diverso, dovrebbe cioè “omologarsi” agli altri partiti… Veti e sospetti cadrebbero, riceveremmo anzi consensi e plausi strepitosi se divenissimo uguali agli altri, se decidessimo di recidere le nostre radici pensando di fiorire meglio”.

E ancora: “Non ci può essere inventiva, fantasia, creazione del nuovo se si comincia dal seppellire se stessi, la propria storia e realtà. Dunque noi restiamo convinti che per rinnovare noi stessi e spingere anche gli altri a rinnovarsi dobbiamo mantenere ben netti e riaffermare i caratteri che ci contraddistinguono e ci fanno diversi”.

Ecco allora la “testarda coerenza” - come ebbe a definirla Antonio Ghirelli - di Enrico Berlinguer e della sua azione politica e la docile mitezza del marito, del padre e dell’amico e l’imprevedibile allegria ungarettiana dell’uomo.

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