04 febbraio 2021

“Vöja de nev”, nelle composizioni dialettali l’asprezza freudiana di Aristide Angelo Milani

Nella prefazione, il professor Salvatore Giujusa di Abbadia Lariana scriveva: ““Il suo presente è la scontentezza di muoversi verso ricordi a doppio epilogo: di recriminazione, per i danni privati che gli sono venuti da tutti, e di sdegno quasi biblico contro i mali pubblici, sociali e materiali”



di Claudio Redaelli

Era il 1983 e il lecchese Aristide Angelo Milani dava alle stampe Vöja de nev, una serie di poesie in vernacolo racchiuse in una raccolta e suddivise in quattro gruppi, così da distinguere quelle che l’autore presumeva di poter chiamare per l’appunto poesie da quelle da lui definite “temi versificati”.

Quei versi, in ogni caso, recuperavano ciò che vi è di più vivo nel linguaggio quotidiano dei lecchesi e offrivano al lettore una raccolta di composizioni capaci di mettere in risalto vibrazioni romantiche, anche con esempi poetici di avvenimenti locali che avevano segnato fino a quell’anno l’esistenza di Milani.

Vi erano poi le “poesie dell’animo”, quelle dove l’autore della pubblicazione esprimeva emozioni e sentimenti profondi.

A curare la prefazione di Vöja de nev era stato il professor Salvatore Giujusa di Abbadia Lariana, del quale Milani fu alunno al “Badoni” di Lecco. “Ricordo il suo stupore filologico - scrisse al riguardo Giujusa in riferimento proprio agli anni della scuola e dell’insegnamento - e la sua meraviglia per ogni parola ignota e la sua gioia quasi sensoriale di farla propria, come se conquistasse un oggetto invece di un suono”.

A proposito del libro, poi, il professor Giujusa affermava innanzitutto che “Milani traduce col duro dialetto lecchese una sua asprezza freudiana di solitario che ha conti da regolare con il passato e con il futuro”.

“Il suo presente - aggiungeva - è la scontentezza di muoversi verso ricordi a doppio epilogo: di recriminazione, per i danni privati che gli sono venuti da tutti, e di sdegno quasi biblico contro i mali pubblici, sociali e materiali inflitti alla gente povera e qua e là non povera, a livello municipale, nazionale e oltre”.



Poi altre considerazioni: “Il rimpianto di Milani è anche ecologico e urbanistico e il riguardo politico non manca, anche se non è tra le limpide concezioni dell’autore, confondendosi sempre, e non solo nella forma, col risentimento personale che si scorge senza sforzo sotto un ideologismo messianico di facile consumo”.

E, alla fine della prefazione, una considerazione: “Vorremmo aprirci alla tenerezza, ma è meglio chiudere il cerchio con le ultime parole di Pirandello: Ed è imprudente non dare udienza, o per il bene che vi impedite di scoprire o per l’esperienza di un male che vi negate”.

Va aggiunto che il libro Vöja de nev era corredato da fotografie, incisioni, riproduzioni di silografie e caricature che aggiungevano pregio e interesse alla pubblicazione.

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