07 agosto 2021

CIAO, FRANCO!


 

di Claudio Bottagisi

Ciao, Franco! E’ il saluto più semplice, ma mi piace pensare sia quello che forse tu stesso vorresti ti raggiungesse oggi. Non a caso è quello con cui i tuoi, anzi i nostri ex compagni di scuola (anche se sarebbe più giusto dire le nostre ex compagne dell’Istituto Magistrale, perché in classe noi maschi eravamo in netta minoranza) hanno voluto congedarsi da te sul gruppo che qualche tempo fa - quando tu stavi già combattendo contro la malattia e le settimane trascorrevano tra alti e bassi, tra momenti di sconforto e altri in cui l’esito in apparenza favorevole delle cure lasciava qualche timido spazio alla speranza - avevamo creato per continuare a “sentirci uniti” a dispetto del trascorrere inesorabile degli anni e dell’impossibilità di continuare a frequentarsi, se non in sporadiche occasioni.

Noi due, invece, per ritrovarci e scambiare quattro chiacchiere abbiamo avuto tante opportunità, anche dopo gli anni della scuola superiore. Sì, perché il giornalismo aveva finito col “prendere” anche te, quando ancora - diciamolo sottovoce, ma non troppo - questa professione non si improvvisava, quando fare il giornalista voleva dire fare innanzitutto tanta gavetta, studiare e alla fine di quel percorso affrontare un esame di idoneità professionale.

Tu sapevi scrivere bene e avevi il fiuto della notizia. Proprio per questo quando mi confidavi - è capitato, in qualche occasione - che non eri in grado (ma lo pensavi tu, non certamente io) di scrivere un buon pezzo un po’ mi arrabbiavo, perché sapevo che non era così. Perché eri cresciuto alla mia stessa scuola e perché non sei mai stato solito improvvisare, né “buttar giù” un articolo soltanto perché te lo chiedeva la redazione.

Della nostra generazione - e non solo - sei stato tra i primi (sto pensando ai colleghi del Lecchese) a sostenere a Roma l’esame per diventare giornalista professionista. Lo ricordavamo, di tanto in tanto, quando ci capitava di fare due riflessioni sul nostro “mestiere”. E tu ne andavi giustamente fiero.

Poi le cose, nel lavoro come nella vita, non sono andate come avresti voluto. Eri ancora nel fiore degli anni e nel pieno delle tue forze quando hai provato le prime delusioni. E quando hai dovuto fare i conti con il dolore.

Qualche anno fa, però, è arrivato il colpo più duro, quello che forse ti ha messo KO. Dopo che è mancata la “tua” Teresa non sei più stato il Franco che ho conosciuto. Avevo capito da subito che non saresti riuscito a superare quell’ostacolo, ad andare oltre quel grande dolore. Non mi sbagliavo, purtroppo. E in seguito ne ho avuto la conferma in più di una circostanza, anche nei messaggi che mi inviavi e nei nostri colloqui al telefono.

Eppure le tue telefonate e i tuoi messaggi Whatsapp (l’ultimo è di un paio di settimane fa) finivano sempre con una frase: “Claudio, sei nelle mie preghiere insieme a chi avevi di più caro, affinché ti protegga”.

Non più tardi di qualche settimana fa mi avevi anche chiesto di mandarti una foto del Galletto, una delle “due ruote” simbolo della Guzzi. Non ricordo amassi particolarmente andare in motocicletta, ma la volevi - così mi avevi scritto - “per metterla sul display dello smartphone così da ricordarmi del nostro territorio, della nostra terra lariana. E poi mi metterebbe un po’ di allegria e mi farebbe pensare a Mandello”.

Poi un’altra richiesta: “Ci terrei molto - mi avevi detto nella tua ultima telefonata - che tu facessi un servizio sulla struttura in cui mi trovo attualmente perché lo merita. Sapessi come sono gentili e disponibili, qui dentro… E se tu scrivessi qualcosa mi faresti sentire un po’ importante”.

Pochi giorni dopo le tue condizioni si erano aggravate. Oggi pomeriggio l’ultimo atto della tua sfida alla malattia e al dolore. Ciao, Franco!

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