30 settembre 2022

Mandello. L’Archivio della memoria ricorda Adriana Pasut: “Credeva nella libertà e nella giustizia”

Adriana Pasut in una foto che la ritrae con Simonetta Carizzoni.



Simonetta Carizzoni, presidente dell’Archivio comunale della memoria locale di Mandello Lario, ricorda con questa testimonianza Adriana Pasut vedova Maggi:
 
Sorpresa, fastidio e dolore mi hanno colto alla notizia che Adriana Pasut se n’è andata. Ci lascia soli la donna sempre presente alle iniziative del 25 Aprile e a quelle in ricordo dei caduti, in particolare a Fiumelatte di Varenna, quando con il marito Nando Maggi ricordava l’uccisione di suo fratello Domenico, l’8 gennaio 1945.

Una donna che credeva nella libertà e nella giustizia, impegnata nel trasmettere ai giovani questi valori. Ricordo ancora l’incontro dei sei ragazzi dell’istituto “Alessandro Volta” che facevano parte del gruppo di “ricerca sul campo”.
 
La intervistarono nel gennaio 2006 in uno dei laboratori degli “itinerari della memoria”, che allora muovevano i primi passi e oggi sono un itinerario didattico-turistico non soltanto a Mandello. Erano attentissimi, prendevano appunti e facevano domande perché un testimone che racconta vale più di tante pagine di un libro di storia.
 
Diceva loro che suo fratello Domenico era diventato partigiano dopo l’8 settembre 1943, spinto dalla voglia di libertà dopo anni di dittatura fascista. Era andato in montagna in Valsassina e si era poi aggregato alla 55.ma brigata Rosselli.



 
La preziosa testimonianza di Adriana è entrata a far parte del libro, pubblicato dall’Archivio comunale della memoria locale nel 2015, Donne e Resistenza a Mandello. 
 
Come raccontava nell’intervista, negli anni 1943-45 Adriana ha messo a rischio la sua stessa vita, per portare aiuto ai partigiani. “La mia era una famiglia antifascista convinta - diceva - e i familiari dei partigiani correvano il rischio di essere presi e fucilati o portati in Germania. Quando mio fratello era a Introzzo, io prendevo il treno fino a Dervio, scendevo, mi facevo la mulattiera a piedi, con una valigia. Gli portavo vestiti, da mangiare e soldi per tirare avanti”. 
 
“Poi nel ’44 - aggiungeva - non ho più potuto perché non sapevo dove erano nascosti. Durante un rastrellamento in Valvarrone ho dovuto scappare velocemente giù per la discesa nel fondovalle, mi sono nascosta dietro un grande castagno e ho sentito i fischi dei proiettili a breve distanza, di qua e di là dalle piante. Facevano rotolare giù le forme di formaggio e rubavano la biancheria della dote delle ragazze”.

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