12 luglio 2021

Mandello Lario, i giardini pubblici e quella visita del conte Marcellino Airoldi al pretore


 

Un’interessante retrospettiva, destinata peraltro ad avere una successiva puntata. A scrivere è Luciano Maria Rossi, mandellese, che attraverso i social e in particolare la pagina “Pace e bene, cara Mandello” entra nel merito della storia dei giardini pubblici del paese con l’intervento che di seguito pubblichiamo:

C’è chi ricorderà che mi ero iscritto all’Archivio comunale della memoria locale per sapere qualcosa di più sui giardini pubblici di Mandello. E che avevo promesso di parlarne, una volta letti i documenti. Bene, ho tra le mani le fotocopie e ho fatto un po’ d’ordine. Sono più di quelli che credevo - otto in tutto, dal 1645 al 1895, giusto due secoli e mezzo - e insieme rispondono a una domanda che mi incuriosiva: com’erano i giardini prima di diventare giardini? E i più significativi sono proprio il primo e l’ultimo, che in un certo senso aprono e chiudono un cerchio.

Cominciamo dal primo, ancora scritto in latino, come a quel tempo usavano i dotti. Protagonista è il conte Marcellino Airoldi, quello al quale Mandello intitolerà in seguito una via. E’ il 1645, una quindicina d’anni dopo la peste descritta dal Manzoni, e siamo sotto il dominio spagnolo, ma di questo nulla traspare dal documento, che però insegna altre cose.

Marcellino, che appartiene a una delle famiglie più ricche e potenti della zona, abita con i suoi fratelli sopra la Gera (all’incirca dove oggi sono i Falck) in un palazzo nobiliare forse un po’ vecchiotto, e un giorno si reca dal pretore di Mandello e Varenna, con tutta probabilità nella torre che ancora ammiriamo nella piazza dell’Imbarcadero.

Ha una preoccupazione. Lui e i fratelli hanno appena iniziato la costruzione di un nuovo palazzo al posto del precedente e vogliono tagliare alcuni alberi in Gera. Non dice quanti e perché. Vogliono avere la vista più libera sul lago? Hanno bisogno di legname da costruzione? Il punto è che la Gera è terreno comunale.

Ma Marcellino aggiunge che gli Airoldi hanno da tempo immemorabile il diritto, non scritto, di piantare, tagliare e usare a loro piacimento gli alberi di detto terreno, senza che nessuno abbia mai avuto niente da obiettare. Cosa chiede allora? Che il pretore faccia gli opportuni accertamenti e poi, per prevenire eventuali contestazioni, sancisca tale diritto legalmente e perpetuis temporibus (cioè in eterno). E’ quello che il pretore farà.

Convoca sindaci e reggenti della comunità di Mandello e insieme a loro esegue un sopralluogo in Gera. Osservano la posizione del palazzo e delle piante, ne parlano e poi fa censire uno a uno gli alberi esistenti: “arbores ad numerum viginti septem populorum altitudinis et magnitudinis summae, alias...” in tutto 27 pioppi di grandissima altezza e ampiezza, 2 noci, 14 salici e 19 gelsi (questi evidentemente per i bachi da seta).

Mancando testimonianze scritte sui diritti reclamati e allora si ricorre alla memoria degli anziani. Il pretore ne convoca due: uno del borgo di Mandello e uno dei Molini (Molendorum), anche se nessuno - neppure loro stessi - ne conosce esattamente l’età: si pensa sui 60 e 73 anni, e sono comunque tra i più vecchi del paese!

I due naturalmente confermano punto per punto quanto sostenuto dagli Airoldi e le loro deposizioni, per rimarcare la distanza tra dotti e incolti, non vengono riportate in latino ma in italiano (anche se avranno sempre parlato in dialetto): “...et detto antiquissimo e immemorabile possesso di detta casa quanto di dette piante è sempre stato quieto et pacifico senza alcuna contraditione...”.

La questione è chiusa. Il pretore prende atto e sancisce il diritto perpetuo degli Airoldi sulla piantagione e il possesso degli alberi nell’area comunale della Gera. La storia, poi, che ha lo sguardo lungo ma non ama l’eternità, deciderà diversamente.

Luciano Maria Rossi

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