23 ottobre 2021

“Non esiste che si debba vivere per lavorare o, peggio, morire per un lavoro. La vita è altro”

La testimonianza del triestino Matteo Lenarduzzi, appassionato motociclista, su un gravissimo tema purtroppo di stretta attualità



Solito intervenire su aspetti ed eventi riguardanti la Guzzi (è infatti un appassionatissimo guzzista e in quanto tale molto legato anche al territorio lariano) e in generale il mondo della motocicletta, Matteo Lenarduzzi, triestino, si sofferma con l’intervento che di seguito pubblichiamo sul drammatico e purtroppo attualissimo tema delle morti sul lavoro:

Un altro ragazzo di 22 anni è morto in un autoporto di Bologna al suo terzo giorno di lavoro da interinale. Quanti morti servono per svegliare la coscienza collettiva di questa società? Si lavora a risparmio perché anche chi fa impresa vede i costi di gestione salire ogni giorno di più e la sicurezza sul lavoro viene meno. Siamo tra i Paesi europei con il più alto numero di morti sul lavoro. Un tema che meriterebbe un corteo o una manifestazione, invece nulla.

Stessa cosa per i diritti dei lavoratori, per i salari sempre più bassi e gli aumenti di ogni cosa, tranne le paghe.

Non solo rincari su energia e carburanti, Coldiretti avverte che quest’anno il prezzo delle farine alimentari è più che raddoppiato in conseguenza del rincaro su trasporti e carburanti. Di questo passo  ci sarà un collasso del sistema nel momento in cui nessuno sarà più in grado di far girare la ruota dell’economia.

Il ceto medio è sparito, abbiamo 6 milioni di famiglie italiane sotto la soglia di povertà e sono in drammatico aumento. Siamo tornati al Medioevo lavorativo, al prendere o lasciare.

Bisogna cambiare radicalmente questa società speculativa che si sta avvitando sempre più su se stessa mettendo al centro il denaro. Serve una redistribuzione del benessere verso chi ha più bisogno, occorre ridare forza e potere d’acquisto alle paghe e alle famiglie, meno tasse, più agevolazioni per risollevare anche l’economia e soprattutto investire sul lavoro, sui giovani e sulla sicurezza.

Ogni morto sul lavoro è un peso enorme sulla coscienza collettiva perché la maggior parte degli incidenti è evitabile se soltanto le norme di sicurezza venissero rispettate. Purtroppo alcuni datori di lavoro, ma anche operai, pur di poter lavorare sono disposti a giocarsi la vita e questo non dovrebbe essere tollerato. E spesso mancano i controllori. Spesso ciechi, distratti o sordi, i rappresentanti della sicurezza e dei sindacati si fanno sentire soltanto quando la magistratura interviene in fabbrica, assieme al medico legale.

Dove lavoro io, il morale è basso. Pur stando bene rispetto ad altre realtà si fatica ad arrivare a fine mese. I sindacati sono a zero e, se ci sono, non rappresentano né difendono gli interessi dei lavoratori. E, pur di tenerci stretto il lavoro, tutti siamo disposti a fare qualcosa in più anche se non rientra nelle nostre competenze. E’ con questo sistema di pressione psicologica sui dipendenti che inizia la catena di eventi che prima o poi porta all’infortunio sul lavoro, perché quando accade nessuno può ritenersi innocente.

E’ tempo di cambiare il sistema di questa società e la mentalità delle persone. La persona e la famiglia devono tornare al centro del benessere della società, altrimenti non ne usciamo. Il lavoro è un “dare e avere” per vivere la propria vita in salute con la famiglia e fare ciò che più ci piace. Dovrebbe occupare un tempo sempre inferiore a quello dedicato a noi stessi e a coloro i quali noi vogliamo bene.

Non esiste che devo vivere per lavorare o, peggio, morire per un lavoro. La vita è altro. Se devo fare tre lavori per campare o stare 12 ore al giorno in una fabbrica non sono più un uomo libero ma uno schiavo senza diritti né tutele.

Matteo Lenarduzzi (Trieste)

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