08 gennaio 2022

Zlatan Ibrahimović: “Italo mi portava sempre al limite dell’adrenalina, con lui un bel feeling”

Il campione del Milan parla nel suo nuovo libro anche di Galbiati, che da calciatore indossò la maglia bluceleste del Lecco dal 1960 al 1966



(C.Bott.) Classe 1937, ha giocato nel ruolo di mezzala e dal 1960 al 1966 ha indossato la maglia del Lecco, squadra con la quale ha debuttato in serie A segnando anche una rete nella stagione ‘60-61. Con i blucelesti retrocessi in B nel ’62 rimase fino al ’66, la stagione della nuova promozione in serie A. Passò poi al Como, dove chiuse la carriera da calciatore per intraprendere subito dopo quella di allenatore.

Quello di Italo Galbiati, nativo di Milano, è dunque un nome che si lega anche al calcio lariano. E al Milan. Allenatore dei rossoneri per tre brevi periodi tra il 1981 e il 1982, è stato “vice” di Fabio Capello, che ha seguito anche alla guida della Nazionale inglese e nella successiva avventura russa del tecnico friulano.

Supervisore del settore giovanile, abile scopritore di talenti e osservatore capace di rimanere per anni ad alti livelli, Galbiati ha avuto da numerosi addetti ai lavori lusinghieri attestati di stima. Tra i tanti, anche quello di Zlatan Ibrahimović.

Il campione del Milan ne parla nel suo libro Adrenalina uscito lo scorso mese di novembre. Nel primo capitolo, dal titolo “La rovesciata (o del cambiamento)”, il calciatore svedese ricorda come la sua vera trasformazione sia avvenuta sotto la guida di Fabio Capello.

Italo Galbiati con la maglia bluceleste del Lecco.


“Lui sì che mi ha rovesciato - scrive Ibra - perché la sua non era solo una frase ma un martellamento quotidiano”. “Mi metteva ogni giorno davanti alla porta - afferma Zlatan - e facevo cinquanta tiri: pam, pam, pam…”.

Segue il passaggio in cui, pur senza citarlo per cognome, parla appunto di Galbiati: “Il grande Italo, l’aiutante del mister, mi stava sempre addosso, con i denti nel collo. Se sbagliavo mi provocava: “Lo vedi? Non ce la fai…”. Allora mi caricavo ancora di più. E lui: “Ancora non buono”. Pam, gol! “Ti va bene questo?”, gli chiedevo. Pam, gol! “Ti va bene questo?”. Pam, gol! Mi portava sempre al limite dell’adrenalina, avevamo un bel feeling”.

“Ogni giorno così - si legge sempre nel libro - per sei-otto mesi. E alla fine sono diventato una macchina da gol. Entravo in campo con un radar diverso”.

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