03 maggio 2021

Padre Alberto Pensa: “La pandemia ci preoccupa e non arrivano più né volontari né visitatori”

Il missionario liernese scrive dalla Thailandia: “Mi auguro di poter condividere presto con tutti voi notizie di altro tenore, con l’augurio che questo tempo di paura e di incertezza, segnato dal buio e dalla sofferenza, possa ritrovare quella luce piena di serenità e gioia”

Padre Alberto Pensa all'Holy family catholic centre di Ban Pong, in Thailandia.


(C.Bott.) “Carissimi amici, vi raggiungo con questa lettera durante il periodo delle vacanze scolastiche. E’ iniziato anche il periodo più caldo dell’anno. Se la prima come la seconda ondata del Covid-19 hanno risparmiato il Paese, nulla in confronto a quello che è successo in Italia, la terza si sta rilevando molto più preoccupante. Infatti, se si confrontano i dati, in marzo la media dei nuovi casi settimanali era di 140, mentre oggi siamo a oltre 1.500”.

Dalla Thailandia, dove ha potuto fare ritorno sul finire dello scorso anno dopo alcuni mesi forzatamente trascorsi in Italia, padre Alberto Pensa lancia un grido d’allarme. “Se i casi fino a poche settimane fa erano distribuiti nella zona di Bangkok e al Sud - scrive il missionario di origini liernesi - oggi la zona del Nord del Paese, dove vivo, è quella che registra il maggior numero di contagi. Anche la nostra attività è segnata dalla pandemia. Abbiamo potuto celebrare la Pasqua, pur con le dovute restrizioni: mascherina e distanziamento, ma subito dopo è iniziato il lockdown. Nonostante le restrizioni sui trasferimenti, molti di quelli che lavoravano a Bangkok sono ritornati per vivere qualche giorno in famiglia. Probabilmente ciò spiega l’aumento dei contagi nella nostra zona”.

Parla anche, padre Alberto, dell’anno scolastico che avrebbe dovuto iniziare a metà maggio che ad oggi è già stato posticipato ai primi di giugno. E della vita all’“Holy family catholic centre” di Ban Pong.



“La pandemia si è fatta sentire anche sull’aspetto della vita del Centro - spiega - e infatti con le restrizioni imposte e l’impossibilità di viaggiare quest’anno abbiamo riscontrato una drastica riduzione di arrivi sia di volontari sia di visitatori che giungevano qui per conoscere la nostra realtà e acquistare i nostri prodotti. Grazie al ricavato delle vendite si poteva sostenere parte del Centro, cosa che oggi non è più possibile”.

“Pasqua per noi qui al Centro non era una ricorrenza importante perché cadeva sempre durante le vacanze scolastiche - scrive sempre il missionario, classe 1940 - Le poche persone che rimanevano seguivano i padri nei villaggi. Quest’anno, invece, la chiusura dell’anno scolastico è stata posticipata a metà aprile. Così ho potuto vivere la Pasqua insieme a tutti i bambini, alle ragazze e al personale presenti. Gli altri padri sono andati nei villaggi. Sabato 10 aprile si è svolta la tradizionale festa del “grazie”: commozione, gioia e un velo di tristezza hanno segnato la festa. La giornata non solo ha rappresentato l’inizio delle vacanze estive per i bambini e per le ragazze, ma per sei di loro è anche coincisa con il saluto al Centro, avendo concluso gli anni delle elementari…”.



“La festa - si legge sempre nella missiva di padre Alberto - è proseguita di sera con danze e esibizioni varie, con il saluto delle tre ragazze e dei tre ragazzi, con i loro genitori venuti per l’occasione e culminata con l’abbraccio alla famiglia del Centro. Un papà ha detto: “Sono qui per abbracciare mia figlia che ha terminato la scuola elementare. Ho passato qui 8 anni. Adesso ho qui i miei tre figli”. Un altro papà proveniva da un villaggio protestante. Ha ricordato che le sue sorelle hanno imparato qui a leggere e a scrivere, hanno fatto un buon apprendistato di preparazione alla vita”.

Il missionario spiega che a loro è stato donato un “braccialetto” segno del legame indissolubile che è nato, è cresciuto e continuerà a essere vivo in ricordo della loro seconda famiglia: l’“Holy family catholic centre”.



Poi altre considerazioni del missionario: “E’ sempre un momento emozionante anche se questa giornata è diventata una tradizione. Il sentimento cambia di anno in anno. Ricordo quando questi bambini, accompagnati dai genitori e un po’ impauriti, sono arrivati al Centro. Non ho mai considerato questo momento come un addio, ma un arrivederci: ciò che è stato seminato qui al Centro germoglierà e loro avranno sempre un posto speciale in questa famiglia. Tutti i bambini e parte delle ragazze hanno raggiunto le loro famiglie nei villaggi di montagna. Qui sono rimaste invece le ragazze provenienti dal Myanmar bloccate dalla chiusure delle frontiere a seguito del colpo di Stato avvenuto nel Paese. La situazione è grave e purtroppo ben pochi ne parlano se non durante i primi giorni di scontri”.

Infine i saluti: “Mi auguro di poter condividere presto con tutti voi notizie di altro tenore, con l’augurio che questo tempo di paura e di incertezza, segnato dal buio e dalla sofferenza, possa ritrovare quella luce piena di serenità e gioia”.











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