28 febbraio 2022

Il mondo della montagna e l’alpinismo lecchese in lutto. Addio a Giorgio Redaelli, il “re del Civetta”

Fu tra i più grandi alpinisti europei degli anni Cinquanta e Sessanta, l’epoca d’oro del sesto grado superiore. I funerali mercoledì 2 marzo alle 10.30 a Mandello Lario

Giorgio Redaelli, classe 1935.


(C.Bott.) Il mondo lecchese della montagna è in lutto. E’ morto Giorgio Redaelli, classe 1935, uno tra i più grandi alpinisti europei degli anni Cinquanta e Sessanta, l’epoca d’oro del sesto grado superiore. Guida alpina e accademico del Cai, era membro dell'École militaire de haute montagne di Chamonix, istruttore nazionale di alpinismo e maestro di sci.

Originario di Mandello Lario, seppe esprimersi ai massimi livelli tanto sulla roccia dolomitica quanto sul terreno d’alta quota delle Alpi occidentali e si distinse in particolare nel gruppo del Civetta, in Dolomiti, dove aprì itinerari di grande difficoltà. Non a caso era conosciuto con l'appellativo di “re del Civetta“.

Nell’ideale “albo d’oro” di Redaelli figura la vittoriosa ascensione lungo la via Solleder, sulla parete nord-ovest proprio del Civetta. Una salita “firmata” nel 1963 con Ignazio Piussi e Toni Hiebeler e considerata una tra le più grandi imprese dell’alpinismo invernale. Sempre con Piussi, quattro anni prima aveva risolto uno dei più grandi problemi alpinistici di quegli anni, aprendo una via diretta (nota come “direttissima”) sulla parete sud della Torre Trieste dopo 79 ore di arrampicata, usando 330 chiodi normali, 90 chiodi a espansione e 45 cunei di legno.



L’anno magico di Giorgio Redaelli è stato peraltro il 1960. Quello è innanzitutto l’anno del suo matrimonio con Aurora, lecchese, conosciuta durante le salite in Grigna. Con lei, il “re del Civetta” ha effettuato non poche ascensioni (“arrampicava assai bene”, ci disse un giorno) e con il suo nome ha pure “battezzato” il rifugio dei Piani di Artavaggio costruito sul finire degli anni Settanta e gestito dall’affiatata coppia fino al 2006.

Ed è l’anno, sempre il 1960, della salita allo spigolo est della Torre Venezia, fino ad allora inviolato. Era giugno e suoi compagni d’avventura furono altri due mandellesi, Corrado Zucchi e Pierlorenzo Acquistapace, il “Canela”. Ad accompagnarli Domenico Degani, detto “Jolly”.

“Affrontammo quattro giorni di parete estrema - ricordava Redaelli - due dei quali soltanto per superare gli 80 metri di una placca. Come dimenticare, poi, quel lungo terzo bivacco da brividi a causa di un temporale che ci accompagnò per un’intera notte? L’indomani raggiungemmo comunque la cima, dopo avere evitato gli ultimi strapiombi con una traversata sulla sinistra”.

Giorgio Redaelli con Reinhold Messner.


“Sono le 14 del 20 giugno - si legge nel suo libro Momenti di vita pubblicato nel 2004 - e siamo riuniti tutti e tre sulla vetta, più bagnati che soddisfatti, mentre un bel sole ci riscalda e in parte ci asciuga. Con tutta la buona volontà e senza risparmio di energie la nostra via è stata ultimata anche se non com’era nel progetto iniziale. Però per noi che l’abbiamo vissuta e sofferta costituisce comunque una valorosa conquista”.

Un anno da incorniciare, si è detto, il 1960. “Dopo la Torre Venezia - scriveva Redaelli sempre in Momenti di vita - compio con Giuseppe Conti, detto “Pep de Mera”, la prima ripetizione della via Oppio al Sasso Cavallo con due bivacchi. Una grande via, pensando agli anni in cui venne aperta. Lo stesso anno con Aurora torno a Courmayeur, dove salgo il Bianco per la cresta di Bionassey e il Dente del gigante… E il 1960 si chiude con la mia ammissione al Club alpino accademico italiano, e il 24 settembre con le nozze con Aurora”.

Redaelli in vetta al Monte Bianco.


Ad arrampicare con Redaelli, in più occasioni, fu Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti” scomparso nel gennaio 2021 all’età di 91 anni, capace di collezionare una lunga serie di salite estreme. Il “re del Civetta” lo conobbe negli anni Cinquanta e con lui scalò sul Monte Bianco lo Sperone della Brenva, salito per la prima volta nel 1865, dopo che entrambi erano stati respinti nei loro tentativi in solitaria rispettivamente sulla via Major e sulla “Poire”.

Di quell’ascensione Giorgio Redaelli scrisse: “La ferma militare era agli sgoccioli e io ero allenatissimo. Un giorno il colonnello mi manda a chiamare e mi dice: “So che sei allenato. Domani arriva Cesare Maestri e vuole andare a fare una delle vie del Bianco, versante della Brenva. Cerca un compagno, vuoi andarci?”. “Signor sì”, è la mia risposta. Che felicità, anche perché Maestri lo conoscevo soltanto di fama!”.

Il giorno successivo Redaelli e Maestri prendono la funivia che porta al rifugio Torino, poi via verso il bivacco della Fourche, raggiunto prima di mezzogiorno di una giornata fantastica.

“Passiamo il pomeriggio a scrutare le vie - scriveva sempre Redaelli - fa molto caldo e Cesare mi svela le sue intenzioni, che non sono di fare una salita in cordata con me ma di salire la “Poire” in solitaria. Allora gli dico: “Se tu fai la “Poire”, vorrà dire che io farò la “Major” così, visto che non conosci la discesa, ci vediamo in cima e scendiamo insieme”. Quello è stato un pomeriggio per me unico. Abbiamo parlato di tutti i nostri colleghi alpinisti più o meno famosi e più o meno reclamizzati e di tanto in tanto tenevamo d’occhio due cordate impegnate sullo Sperone della Brenva”.

Giorgio Redaelli in una bella foto del 2000 che lo ritrae con sua moglie Aurora.


Nei passaggi successivi del racconto di Giorgio Redaelli vi era la decisione di rinunciare a quel progetto. Troppo pericoloso per il rischio delle scariche che, complice il caldo, avrebbero potuto colpire i due alpinisti.

“Cesare è demoralizzato e arrabbiato - si leggeva sempre nel racconto dell’alpinista mandellese - e mi dice in modo secco: “Torniamo”. Al che io gli dico: “Come torniamo? Siamo qui all’attacco dello sperone, non hai mai fatto il Monte Bianco, quale occasione migliore di questa?”. Così lo convinco a fare lo Sperone della Brenva e alle 3.15 attacchiamo… Arriviamo in vetta tutto di corsa, un attimo in cima e poi giù verso la Vallot, breve sosta e via di nuovo per la Cresta di Bionnassey, che io conosco molto bene. Una fermata al rifugio Gonella e alle 13.30 siamo seduti in Val Veny. Una macchina di un escursionista ci porta da lì a Courmayeur. In dodici ore avevamo fatto Bianco e ritorno e per quei tempi credo fosse stato un ottimo exploit”.

Giorgio Redaelli in vetta al Civetta. E' il 1963.


Quindi una considerazione: “Riflettendo, mi rendo conto che arrampico solo da tre anni e che in quel breve periodo mi sono già legato in cordata con quasi tutti i mostri sacri dell’alpinismo”. Già, anche con Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti”.

I funerali di Giorgio Redaelli, che da anni aveva stabilito la sua residenza a Cassina Valsassina e che oltre alla moglie Aurora lascia i figli Nicoletta e Mauro e il fratello Angelo, si svolgeranno mercoledì 2 marzo a Mandello Lario, alle 10.30, nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore.

Giorgio Redaelli con il "ragno" Dino Piazza.


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