20 febbraio 2022

I giardini di Mandello e dintorni. Dal progetto di arginatura del Meria alla costruzione del porto

La mappa del progetto datato 1891 per lo spurgo e la sistemazione del Meria.

 

Un’altra “tappa” nel cammino storico dei giardini pubblici e più in generale della zona a lago di Mandello Lario. Altri significativi “appunti” a cura di Luciano Rossi. Ecco il suo testo.

Siamo alla fine dell’Ottocento e al documento del 1891 sullo spurgo e la sistemazione del Meria dopo una piena distruttiva.

Sono anni di importanti iniziative e, come sempre, di cattive condizioni finanziarie del Comune. Il documento, nel sottolineare la necessità di uno sgombero urgente del fiume, riconosce che il Comune è impossibilitato a “ulteriori spese sebbene non vistose”, in quanto già “disanguato” dalla prevista costruzione del nuovo cimitero, in consorzio a metà con il Comune di Rongio, e delle strade di accesso alla stazione.

Poi si rammarica che non sia mai stato realizzato il vecchio progetto di arginatura del 1857, quello del Lombardo-veneto che abbiamo visto in precedenza e fa un nuovo appello al Governo, aggiungendovi anche la Provincia, perché intervengano a “sussidiare” i dovuti interventi.

Bisogna rifare in sassi di Moltrasio la selciatura distrutta dalla piena nel tratto di fiume tra il ponte appena costruito della ferrovia e quello dei Mulini, poi giù fino alla foce, liberando l’alveo e alzando le sponde. Anche la ferrovia, dunque: la nuova linea Lecco-Sondrio era in via di ultimazione, attraversava il territorio di Mandello poco sotto il confine con il Comune di Rongio e sarebbe entrata in servizio regolare nel ʼ94. E con i lavori c’entra anche la nostra Gera, perché il diritto di escavazione di sassi e sabbia indispensabili all’opera era stato assegnato a una ditta di Firenze - la “Alfredo Bertini” - già “assuntrice” del quarto tronco della linea.

Il canone di 180 lire annue fu però subito contestato per la sua esiguità (pare corrispondesse soltanto a 2 centesimi al metro cubo) e il consiglio comunale, che l’aveva stabilito, fu a lungo in imbarazzo se revocare o trattare un corrispettivo più adeguato.

Intanto il Meria era lì che aspettava l’intervento, con il suo solito percorso di quarant’anni prima, che curvava a destra dopo la Madonna del Fiume. E quella era appunto l’area da ripulire, come mostra la mappa allegata alla relazione.

Alla fine lo sgombero sarà effettuato, ma il problema della regolazione della foce rimarrà in sospeso ancora a lungo. Lo ritroveremo fra un’altra trentina d’anni, ormai nel Novecento, e ci saranno ancora gli argini da costruire, mentre il fiume mostrerà, in modo un po’ precario e forse casuale, un andamento più diritto.

E’ il periodo che avevamo già anticipato, con gli accordi tra il podestà, Redaelli e Falck e le proteste dei cittadini che non volevano rinunciare ai primi giardini pubblici che avevano.

L’altro progetto importante nella Gera dell’Ottocento è il porto, questo sì andato a buon fine. Anzi, se vogliamo anticiparne il senso per la nostra storia, sarà il primo manufatto a modificare stabilmente la fisionomia della Gera, che da ambiente quasi del tutto naturale e spontaneo inizia la sua trasformazione in base alle scelte degli uomini, si spera sempre rispettose della natura.

Dopo il porto, che era del resto un’esigenza antica e collaudata, arriveranno interventi innovativi, di spirito moderno, e tutti nel Novecento. La Gera non sarà più quella del passato.

Del porto abbiamo due realizzazioni successive: la prima su progetto del 1832, la seconda del ’56, più un parziale rifacimento straordinario tra fine secolo e inizio del seguente.

Partiamo dal 1832, sotto il regno Lombardo-veneto. Purtroppo del progetto del porto sono andati perduti tutti i disegni, mentre ci è rimasta la lunga e particolareggiata descrizione che a quei disegni allegati si riferiva. Vi si parla di tre opere, di cui la prima, che è quella che ci interessa, di gran lunga maggiore. Dice: “Perizia per la costruzione di un nuovo porto alla piazza di Gera, e per la riattazione della strada di Vedrago a St. Zenone, e di un tronco della Strada di monte sotto l’Alpe di Mandello”.

Una parentesi per i cultori di cartografia. La strada di Vedrago corrispondeva alle attuali via Diaz e via Tommaso Grossi, in assenza di provinciale e di ferrovia, fino alla rotonda della Posta. Qui finiva Mandello e cominciava il Comune di Rongio, cui appartenevano pertanto anche Tonzanico e San Zeno. Il Comune di Mandello saliva invece dalla zona del Villaggio Guzzi a comprendere Maggiana, poi su fino ai Resinelli, dove appunto si trova l’Alpe.

Le tre opere che dicevamo, decise dal Regio commissario distrettuale, erano sicuramente necessarie, ma furono approvate dal consiglio comunale con una motivazione secondaria che mi ha molto colpito: “…per fornire lavoro alla classe indigente nel caso di sopravvenienza del cholera morbus”.

Il colera era dalle nostre parti una terribile malattia “nuova”: dall’India aveva cominciato da poco a diffondersi in Europa, per le precarie condizioni igieniche generali e la scarsità di acqua potabile. Oggi abbiamo una tecnologia straordinaria e tutto è diverso, almeno nel nostro mondo, ma il Covid insistente di oggi sembra dirci che qualcosa di noi è rimasto simile a quei tempi: non so, la paura di un male sconosciuto, l’inquietudine, l’ansia che ci prende di non sapere come farvi fronte in modo certo.

Luciano Rossi

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