06 febbraio 2022

Nel 2014 moriva Marco Anghileri. “Sono passati quasi otto anni ma per me è sempre un tormento”

Marco Anghileri (1972-2014).

 

di Renato Frigerio

Il 14 marzo non è una data che potrà scivolarmi via facilmente dalla mente dopo che otto anni fa l’accenno sussurrato circa un evento a cui non avrei voluto prestare fede ebbe una straziante conferma già nelle prime ore del giorno successivo.

Più che un colpo al cuore, lo posso ora paragonare a un trauma che toglie il respiro. E’ quello che mi colse quando fu giocoforza accettare la verità su ciò che era accaduto all’amico più caro e apprezzato.

Marco Anghileri, il “Butch”, era precipitato sul versante Sud del Monte Bianco quando le sue mani si erano appigliate al granito sulla parete verso la cuspide della “Chandelle” per raggiungere il cornicione terminale del favoloso obiettivo di cui ormai sentiva di avere avuto ragione.

Mi sembra di immaginare il suo volto soddisfatto e sorridente nel momento che precede di poco quel terribile volo. Lo stesso sorriso compiaciuto che gli deve essere brillato quando si affacciò da Entrèves e da Courmayeur, o forse dalla Val Veny o dai campi di sci del Checrouit, e vide tra le frastagliate e spettacolari creste del Peutérey e dell’Innominata lo scenario dei Piloni del Frêney.

Fu allora che certamente si ricordò che sul celebre Pilone centrale, che ora si distingueva nettamente, tra il 10 e il 12 agosto 1982 i tre alpinisti elvetici Michel Piola, Pierre-Alain Steiner e Jori Bardill avevano aperto una via diretta memorabile, con una scalata di concezione moderna e sportiva.

Su quel Pilone si erano succedute nel tempo conquiste e tragedie, ma una salita solitaria diventa un problema che ben pochi alpinisti si possono concedere, soprattutto se affrontato nel periodo invernale.

Era un’occasione che Marco non poteva permettersi di lasciarsi sfuggire. L’idea nacque all’improvviso, ma divenne presto stimolante e irresistibile, tanto che la teneva gelosamente dentro di sé, fino alla soglia della sospirata partenza.

Che potesse essere una decisione rischiosa per lui non poteva venire preso in considerazione da nessuno tra coloro i quali conoscevano l’accurata preparazione che precedeva ogni suo progetto e la scrupolosa prudenza con cui lo affrontava. Ma è appunto l’imprevedibile che può diventare fatale: e una disgrazia inimmaginabile lasciò ammutoliti e esterrefatti tutti quelli che lo conoscevano e gli volevano un mare di bene.

A soffrire insieme a tutti quei suoi amici includo me stesso, perché nonostante la differenza generazionale condividevo con Marco un’amicizia quasi fraterna.

Frequentando le consuete riunioni nella sede dei Gamma prolungavamo spesso fino a tarda sera le nostre animate chiacchierate, che avevano come oggetto sia il racconto di molte sue avventure e conquiste di montagna sia le storie che gli riferivo sui tanti alpinisti che non aveva potuto conoscere, specie se riferite alle imprese dei nostri concittadini.

La sede era da lui frequentata con senso di responsabilità anche per offrire interessanti proposte programmatiche e la relativa disponibilità per la loro attuazione.

Sono passati otto anni da quel tragico venerdì 14 marzo 2014, ma per me è sempre un tormento ogni volta che vedo davanti agli occhi l’immagine di quel ragazzo di appena 41 anni.

Quanto tempo gli sarebbe rimasto per salire nuovi gradini della “scala dei sogni” che porta sulle pareti e sulle vette soltanto i più audaci? Chi gli è stato a lungo insieme ha avuto la fortuna di conoscere una persona di ampia apertura mentale, dotato di lealtà, sincerità, gentilezza e di una simpatia innata.

Con queste qualità e con il prorompente entusiasmo che gli brillava sul volto è riuscito a far accettare la sua superiorità e le sue eccezionali doti alpinistiche senza crearsi attorno quel solito cerchio di invidia e di gelosia che d’abitudine si riscontra in questi casi.

La sua scomparsa si è ripercossa non soltanto sentimentalmente in ambito personale, a partire ovviamente dai suoi familiari, ma ha privato i Gamma e la città di Lecco di un alpinista che ancora stava sorreggendo la continuità di quella tradizione di cui ci sentiamo orgogliosi.

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