16 aprile 2020

“La “spagnola” e la storia maestra di vita. Noi saremo capaci di fare meglio e di "risorgere"?”

“La storia sia maestra di vita: che nuovo mondo uscì dalla “spagnola”? E noi saremo capaci di fare meglio? E di risorgere a vita nuova? Abbiamo tutti questa grande responsabilità”. Sono le tre domande che seguono il testo, trascritto da Internet, inviatoci dal mandellese Vincenzo La Bella e corredato da una serie di emblematiche fotografie.
Tre domande su cui riflettere, precedute come detto dalla descrizione di quella che fu, più di un secolo fa, l’influenza spagnola, una pandemia influenzale che risale agli anni tra il 1918 e il 1920, la prima delle pandemie del XX secolo che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1.
Arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, causando il decesso di 50-100 milioni di persone su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi.
La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: causò infatti più vittime della terribile peste nera del XIV secolo.
La malattia ridusse notevolmente l’aspettativa di vita dell’inizio del XX secolo che, nel primo anno dal diffondersi della pandemia, risultava diminuita di circa 12 anni. La maggior parte delle epidemie influenzali uccide quasi esclusivamente pazienti anziani o già indeboliti. Al contrario, la pandemia del 1918 uccise prevalentemente giovani adulti precedentemente sani.
Sono state formulate diverse possibili spiegazioni per l’alto tasso di mortalità di questa pandemia. Un gruppo di ricercatori, recuperando il virus dai corpi delle vittime congelate, ha scoperto che la trasfezione negli animali causava una rapida insufficienza respiratoria progressiva e la morte attraverso una tempesta di citochine (una reazione eccessiva del sistema immunitario dell’organismo).
Si è quindi ritenuto che nei giovani adulti l’elevata mortalità fosse legata alle forti reazioni immunitarie, mentre la probabilità di sopravvivenza, in alcune aree, paradossalmente sarebbe stata più elevata in soggetti con sistema immunitario più debole, come bambini e anziani.
Studi più recenti, basati principalmente su referti medici originali del periodo della pandemia, hanno rivelato che l’infezione virale stessa non era molto più aggressiva di altre influenze precedenti, ma che le circostanze speciali (guerra, malnutrizione, campi medici e ospedali sovraffollati, scarsa igiene) contribuirono a una superinfezione batterica che uccise la maggior parte degli ammalati, in genere dopo un periodo prolungato di degenza.
Inoltre in Europa, nel 1918, il conflitto durava ormai da quattro anni e era diventato una guerra di posizione: milioni di militari vivevano quindi ammassati in trincee sui vari fronti, favorendo così la diffusione del virus. I dati storici ed epidemiologici sono inadeguati per identificare l’origine geografica della pandemia. Alcuni studi ritengono che l’influenza spagnola abbia avuto un’implicazione nella comparsa, negli anni Venti, dell’encefalite letargica.
All’influenza fu dato il nome di “spagnola” poiché la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli: la Spagna non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra, mentre nei Paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne come di un’epidemia circoscritta alla Spagna.
Poi, come detto, gli interrogativi legati all’attualità e al dopo-coronavirus. Già, la storia sia maestra di vita.

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