22 aprile 2020

Una testimonianza dall’Eritrea: “Così combattiamo il virus, subdolo e traditore”

Padre Protasio Delfini scrive: “Pensare agli altri significa guardare alla loro incolumità per ciò che si può fare in una situazione di incertezza a livello mondiale e di grande paura per noi che non abbiamo il minimo di sicurezza”
(C.Bott.) “Le definizioni che dò sul coronavirus in genere sono desunte da quello che si dice o si scrive, “addomesticate” con il mio modo personale di scrivere. Il Covid-19 non è un organismo vivente, ci dicono gli scienziati, bensì una proteina molecolare coperta da uno strato di grasso lipidico che, assorbito dalle cellule della mucosa oculare, nasale o boccale, cambia il loro codice genetico e le fa divenire aggressive e moltiplicatrici. Quindi è una materia inerte ma malefica, mortale e nello stesso tempo anche fragilissimo. Il virus viaggia con l’aria e le cose, addosso a te, addosso a me: è subdolo, invisibile e traditore. Quanto ciò sia vero lo vediamo dall’ingente bottino che si è fatto in vite umane in questi mesi in Asia come in America, in Europa e altrove. Ha preso per il naso tutti, reso inefficaci i sistemi di protezione, trasformando le città in cimiteri, con morti spesso senza neppure un’identità”.
Qualche settimana fa dall’Africa era arrivato un video di incoraggiamento all’Italia e agli italiani. A realizzarlo erano stati i bambini di una scuola di Ebolowa, in Camerun, la nazione del Continente nero dove per lunghi anni ha svolto il suo ministero il compianto don Gianni Allievi, nativo di Bregnano, nel Comasco, vicario a Mandello “Sacro Cuore” dal ’63 al ’65.
Poi, a inizio aprile, la notizia che don Filippo Macchi, il sacerdote originario di Gemonio e per sei anni a sua volta vicario a Mandello, era stato costretto dall’emergenza sanitaria a rientrare dal Mozambico soltanto due mesi dopo la sua partenza dall’Italia, destinazione appunto la sua nuova missione nella diocesi di Nacala.
Ora da Massaua, città portuale dell’Eritrea sulla costa del Mar Rosso, ecco una nuova testimonianza sulla pandemia che non ha risparmiato neppure l’Africa. Arriva da padre Protasio Delfini, dalla sua parrocchia di Gherar. Dalla “sua” chiesa e dalla “sua” casa dedicate a san Francesco d’Assisi.
“Mali come questo - scrive il missionario - o bisogna prevenirli oppure occorre attaccarli prendendoli dalla parte più debole. E il coronavirus punti deboli ne ha parecchi. Insomma, bisogna giocare sui tempi, perché - come dicono i sapientoni - ci vorrà ancora un anno, o giù di lì, per mettere una barriera al contagio, ossia per avere il famoso vaccino. Insomma, chi ci sarà vedrà”.
“Ma allora cosa fare nel frattempo? - scrive sempre padre Protasio - Bisogna giocare d’astuzia, prendere di sorpresa il nemico usando mezzi apparentemente rudimentali, come se si stesse giocando a nascondino. Noi, come del resto il mondo intero, stiamo vivendo l’esperienza del blocco totale imposto dal Governo per contenere la diffusione del contagio. Il blocco, oltre allo spazio aereo, riguarda i mezzi di trasporto pubblico in città e fuori, anche di biciclette, e persino i pedoni. Insomma anche qui è arrivato il signor coronavirus, fortunatamente però non come in Italia, povero Paese decimato! Chissà quanti miei amici non ci sono più… Qui i casi di contagio, fino al 18 aprile, erano 43, tre dei quali dimessi, mentre chiusi a fare la quarantena sono un centinaio, o poco più. E non abbiamo notizie di morti”.
“Per ciò che mi riguarda personalmente - aggiunge il missionario - siccome sarebbe da ingenui dire che se non è successo nulla fino ad adesso significa che non ci accadrà mai, ho pensato che la cosa più saggia sarebbe stato premunirsi, facendo almeno il minimo. A casa, oltre a me stesso e a un frate infermo che era venuto per riposare e che poi è rimasto bloccato per la situazione, c’è il personale di servizio: tre diurni e una donna, la cuoca, che dorme da noi. E i dodici bambini da tenere a bada in tutto e per tutto. Pensare agli altri significa anche guardare alla loro incolumità per ciò che si può fare in una situazione di incertezza a livello mondiale e di grande paura per noi che non abbiamo il minimo di sicurezza”.
Padre Protasio spiega quindi che in questi giorni sono state cucite a mano mascherine per tutti, “perché quelle che trovi nelle farmacie sono cose arrangiate, piccole, come quelle che si mettono per ripararsi dalla polvere, fragili e in più molto costose”.
Il confezionamento e la distribuzione delle mascherine fa seguito alle informazioni diffuse dalla televisione e a quelle date da lui stesso: lavarsi spesso le mani, non salutarsi dandosi la mano, tossire o starnutire coprendosi naso e bocca, mantenere la distanza.
“Il resto lo lasciamo a Dio - scrive il missionario a conclusione della sua efficace testimonianza - perché non sappiamo dove ci porterà questo dannato contagio… Dobbiamo dire che Dio ce l’ha mandato per purificarci degli errori compiuti come ai tempi del diluvio universale, oppure è dovuto a uno sgarro nella manipolazione degli elementi naturali per mano dell’uomo? Oppure è stato creato dalla cattiveria umana come arma di distruzione di massa dotato di un meccanismo a orologeria che però è deflagrato, seminando morte ovunque?”.
“E’ presto per dirlo - conclude padre Protasio - ma forse è anche troppo tardi per riuscire a fermare questa valanga che ci sta travolgendo. Il reggitore del mondo, al quale sono soggette le forze oscure del male, metta una buona parola a favore di noi poveri, fragilissimi esseri umani!”.

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