17 novembre 2021

“Basta compiti a casa? Prima chiediamoci quali andrebbero assegnati e quali invece no”

L’ex docente e dirigente scolastico Adriana Lafranconi, mandellese, interviene sulla scelta di un’insegnante della primaria di Olginate di “abolirli”



(C.Bott.) In questi giorni è balzata per così dire agli onori della cronaca dopo la sua decisione di non più assegnare i compiti a casa ai propri alunni. Lei è Alessandra Maggi, insegnante alla scuola primaria “Gianni Rodari” di Olginate. Si è così aperto in più sedi il dibattito sull’opportunità o meno appunto di “abolire” i compiti, partendo dalle motivazioni addotte dalla stessa insegnante, che a Olginate è anche consigliere comunale, secondo la quale vi è una obiettiva difficoltà per i bambini che stanno a scuola dalle 8.30 alle 16 di organizzarsi per trovare il tempo necessario per fare i compiti, districandosi tra altri impegni.

C’è poi il fatto che i compiti non servirebbero a chi li fa ma, di contro, sarebbero necessari per chi invece non li svolge. Quella dei compiti, inoltre, è una pratica che in qualche misura costringe genitori e nonni a trasformarsi in insegnanti e poi c’è la convinzione che non è attraverso i compiti che i bambini crescono più responsabili, considerato che la responsabilità ognuno la apprende nella vita di ogni giorno.

Ma cosa ne pensa, in proposito, Adriana Lafranconi, mandellese, ex insegnante ed ex dirigente scolastico? “Quelle dell’insegnante di Olginate sono tutte ragioni che in sé possono essere accolte, pur se non integralmente - dice - Le troviamo espresse, più o meno, da altri convinti assertori della perniciosità dei compiti a casa. Si potrebbe citare, ad esempio, il dirigente scolastico Maurizio Parodi, il quale ha creato due gruppi Facebook - “Basta compiti!” e “Docenti e dirigenti a compiti zero”- lanciato una petizione online “Basta compiti!” e pubblicato vari saggi sul tema”.

“Su una posizione lontana da questa prospettiva apocalittica - aggiunge - si colloca invece il pedagogista francese Philippe Meirieu che, se non teme di analizzare criticamente alcune convinzioni indiscusse sui compiti a casa, nel suo libro I compiti a casa. Genitori, figli, insegnanti: a ciascuno il suo ruolo avanza con genuino buon senso proposte perché questo momento non si riduca a vuota liturgia. Anzi, il problema dell’assegnazione dei compiti a casa diventa un’occasione per riflettere più in generale sulle scelte della scuola in tema di modalità di insegnamento e apprendimento”.

Possiamo cercare di capire meglio il significato di questa espressione?

“Prima di assumere decisioni del tipo “No-compiti a casa” versus “Sì-compiti a casa” sarebbe necessario chiedersi quali compiti si debbano o meno assegnare. Se, ad esempio, si danno compiti uguali per tutti, necessariamente ci si ritrova a rilevare ciò che la maestra Maggi denuncia: se il compito è troppo difficile per un alunno, è naturale che egli cerchi di sottrarvisi. Se è troppo facile, possono comunque nascere tentazioni di inadempienza rispetto a un dovere percepito come banale o inutile. Se il compito assume le sembianze dell’esercizio poco motivante, possiamo pretendere che i bambini vi si dedichino con entusiasmo? Se gli insegnanti di un team non si accordano sul carico di lavoro a casa che i loro allievi sono chiamati a svolgere in uno stesso giorno, i problemi organizzativi non possono che deflagrare”.

Quindi come ci si dovrebbe orientare?

“Se il compito puzza di “scolasticistico”, come non aspettarsi che i bambini ne rifuggano, per concentrarsi invece sulla vita vera? Posso anche concordare con la collega sul fatto che i compiti a casa non siano tout court strumento per educarsi alla responsabilità personale, ma forse dovremmo avere il coraggio di vedere se dentro la scuola, in particolare dentro certa scuola, si operi davvero per questa nobile imprescindibile meta formativa. In sintesi, mi pare che quell’insegnante stia suggerendo un approccio più argomentato a questo problema”.

Qual è, dunque, la sua valutazione?

“Di fronte a qualsiasi problema, a mio parere, si deve rifuggire dalla tentazione di percorrere le strade più semplici ma che alla fine possono risultare sterili, per assumersi di contro la fatica di una riflessione più attenta alla complessità in gioco e più consapevole. La giovane collega scrive di aver pensato a lungo prima di prendere questa decisione e ciò indubbiamente le rende onore, ma da collega anziana mi permetto di suggerire la necessità di un’altra partenza per affrontare il problema. Accanto al piano della sostanza, suscita in me qualche perplessità anche quello della forma. Se ho capito bene, questa decisione è personale della collega Maggi, comunicata a posteriori agli altri insegnanti della scuola. Ora, in una istituzione educativa  che fa della collegialità una delle sue cifre caratterizzanti, un tema scottante come quello dei compiti a casa merita di essere affrontato collegialmente, se non si vuole correre il rischio di attentare all’identità della scuola stessa. Ampliando lo sguardo oltre il caso qui considerato, può valere la pena di ricordare che la normativa impegna gli istituti scolastici a elaborare i Piani triennali dell’offerta formativa, il che mal si concilia con scelte di cambiamenti importati, per addizione o sottrazione poco importa, prese in corso d’anno”.

Insomma a suo avviso ogni decisione andrebbe attentamente ponderata…

“Purtroppo non è infrequente constatare che, accanto a realtà che operano in modo molto ponderato, ve ne sono altre in cui, dalla sera alla mattina, si apportano cambiamenti sostanziali all’offerta formativa stessa - inserendo un progetto, modificandone un altro - spesso come specchietto per le allodole, trascurando il fatto che se scelte di questo tipo possono sembrare pagare nell’immediato, tra i genitori ci sono anche molte aquile, lungimiranti, che diffidano da decisioni prese troppo in fretta, senza il tempo per la dovuta valutazione complessiva delle implicazioni che ogni cambiamento comporta”.

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