15 settembre 2021

Il vescovo Oscar Cantoni: “Anche la Vergine Maria ha pianto con noi per don Roberto”

All’omelìa pronunciata questa sera durante la messa di suffragio del sacerdote ucciso a Como un anno fa il prelato ha detto: “Ha voluto condividere le sofferenze degli altri, i drammi, le solitudini di quelli che la società scarta, quegli “ultimi” che non interessano a nessuno”

Don Roberto Malgesini, ucciso il 15 settembre 2020 a Como.


(C.Bott.) “Oggi celebriamo la memoria della Vergine Maria addolorata, la madre che si prende cura di tutti noi, dal momento che Gesù, morente sulla croce, ha affidato ogni suo discepolo alle premure e alla sua sollecitudine materna. Non è un caso che don Roberto sia stato ucciso proprio in quel giorno. Anche Maria ha pianto con noi per questo suo figlio amato e nostro fratello, barbaramente sottratto al nostro sguardo e alla nostra compagnia proprio un anno fa, lui che ha sempre nutrito per la comune Madre una tenera, filiale devozione”.

Così monsignor Oscar Cantoni ha introdotto la sua omelìa nella messa di suffragio celebrata questa sera nella chiesa di San Bartolomeo a Como nel giorno in cui viene ricordato il primo anniversario dell’uccisione di don Roberto Malgesini e a distanza di poche ore dalla cerimonia di intitolazione al “prete degli ultimi” della piazza antistante la chiesa di San Rocco, che appunto da oggi si chiama “Largo Don Roberto Malgesini”.

“Le lacrime di Maria sono gemme preziose, perle di misericordia che donano pace e consolazione - ha aggiunto il vescovo di Como - che proclamano la vittoria di Cristo sul male e sulla morte e recano a tutti la certezza di una gioia piena e duratura. Anche il sacrificio di don Roberto, come quello di altri fratelli e sorelle della nostra Chiesa martire quali don Renzo Beretta, il beato Teresio Olivelli, il beato Nicolò Rusca e la beata Suor Maria Laura, non è stato vano. La perdita di questo nostro prete è stata solo apparente, perché egli vive in Dio e dal cielo accompagna con la sua intercessione il nostro pellegrinaggio terreno”.

Il prelato ha sottolineato come lungo il corso di questo anno si sia sviluppato per la luminosa figura di don Roberto un interesse straordinario da parte di tante persone, in Italia e all’estero. “Commossi per la sua testimonianza di vita - ha detto monsignor Cantoni - molti si sono sentiti interrogati sul loro modo di essere discepoli di Gesù. Vorrei che anche noi, soprattutto come presbiteri di Como, ci verificassimo sui tratti del nostro ministero sacerdotale”.

“Non si tratta di imitare don Roberto - ha osservato sempre il vescovo Oscar - ma di cogliere il modo con cui egli ha operato. Basterebbero queste domande irrinunciabili: qual è il centro della mia vita per il quale continuo ad appassionarmi? Quale immagine di Dio rappresento al vivo attraverso il mio ministero? Con quale sguardo vado incontro ai miei fratelli, soprattutto ai più poveri? A ciascuna di queste domande don Roberto ha saputo rispondere con il suo ministero, fondato non sulle tante cose da fare, sulle strutture da sostenere, ma rispecchiando la tenerezza di Dio per ogni uomo, chiunque egli fosse”.

Il presule ha quindi ricordato l’evoluzione spirituale vissuta da don Roberto. “In un primo momento, chiedendo di trasferirsi dalla parrocchia di Lipomo - ha affermato - don Roberto poteva apparire un prete in fuga dai sempre più logoranti impegni pastorali. Egli, tuttavia, non è scappato dalla parrocchia perché non credeva nella fecondità dell’azione parrocchiale, o perché avesse preferito aderire a un progetto elaborato dal suo estro personale. In realtà non è stata una autocandidatura la scelta di abitare a San Rocco. Don Roberto ha saputo sviluppare un approfondimento della sua chiamata, frutto di una esigenza interiore, che egli ha saputo elaborare, in un paziente discernimento, qualificandola come “una vocazione nella vocazione” e che l’autorità della Chiesa madre ha accompagnato con prudenza e che poi ha confermato”.

Il vescovo ha anche ribadito che don Roberto “ha voluto condividere da vicino le sofferenze degli altri, i drammi, le solitudini, soprattutto di quelli che la società scarta, quegli “ultimi” che non interessano a nessuno ma in cui Gesù stesso si identifica e che ci precedono nel regno dei cieli”.

“Don Roberto si è dedicato a tempo pieno a queste categorie di persone - ha detto - senza tuttavia estraniarsi dalla comunità ma anzi attirando altre persone, tra cui giovani volontari, desiderosi di condividere un servizio d’amore con i poveri. Solo in un secondo tempo, osservando con uno sguardo più attento il suo stile di vita, soprattutto il suo modo tipico di rapportarsi con le persone, chiunque fossero, emerge in don Roberto l’immagine cara a papa Francesco di pastore “con l’odore delle pecore”, e non solo di quelle al sicuro all’interno del recinto, sempre più poche, ma anche di quelle all’esterno, inquiete e sole, sprovviste di certezze oltre che di beni”.

“A prima vista don Roberto poteva sembrare uno sprovveduto, incurante dei pericoli, un prete fuori dagli schemi ordinari, poco interessato ai progetti per i poveri ma desideroso di stare con loro - ha evidenziato ancora il prelato avviandosi a concludere la sua omelìa - Dalla persona di don Roberto emanava una serenità pacificante. Il suo sguardo era attraente perché sempre lieto, di una letizia fondata sulla fede, non su un semplice entusiasmo giovanile. Aveva imparato a entrare con immediatezza in relazione con le persone.  Soprattutto utilizzava bene il suo tempo, perché ogni persona potesse sentirsi amata e preziosa, proprio come lo sguardo di Dio che si china su ciascuno con premura paterna. Ferito a morte, al dire di chi lo sollevava una delle sue ultime parole fu “grazie!”, espressione con cui ricambiava l’amore che aveva ricevuto e che aveva saputo moltiplicare e diffondere”.

Nessun commento:

Posta un commento