21 novembre 2022

Mandello e l'addio a Lafranconi. “Ciao Enrico, ora stai salendo i sentieri della montagna più luminosa”

Don Marco Nogara: “Ricordarlo vuol dire ripensare alle esperienze vissute al suo fianco camminando verso il Sasso di Remenno, sui sentieri delle Dolomiti o di ritorno dal Monte Bianco”. La moglie Sonia: “Grazie a chi mi ha sorriso e sostenuto, a chi mi ha ascoltato e a chi è rimasto in silenzio”




(C.Bott.) E’ un ricorrente richiamo alla montagna l’ultimo saluto di Mandello Lario a Enrico Lafranconi. Lo è l’omelia di don Marco Nogara, lo è la presenza nella chiesa del Sacro Cuore di tanti alpinisti e di tanti escursionisti, gente che la montagna la ama, la frequenta e la apprezza, proprio come la amava, la frequentava e la sapeva apprezzare Enrico.
Lo sono le note del Signore delle cime diffuse dall'organo nella parrocchiale dopo la Comunione. Lo è il ricordo dei coscritti del 1952, che nel saluto al loro coetaneo affisso sui muri del paese hanno scritto: “Sulle tue Grigne senti la gioia di vivere, la commozione di sentirti buono e dimentichi le miserie terrene perché sei più vicino al cielo”. 
La montagna è al centro anche della preghiera dell’alpinista letta al termine del rito funebre da Giuseppe Orlandi, il “Calumer”, un altro che ai sentieri e alle pareti dà del tu da una vita. “Enrico amava vivere - dice - amava la famiglia e amava la natura. E amava il Soccorso alpino. Era una persona gentile e coerente e ora lui sta salendo i sentieri della montagna più luminosa”.
“E’ naturale associare le persone che ci lasciano ai luoghi da loro frequentati e alle esperienze da loro vissute”, aveva detto don Marco all’omelìa seguita alla lettura del Vangelo di Marco con il racconto degli ultimi istanti di vita di Gesù crocifisso. “E ricordare Enrico - aveva specificato - vuol dire ripensare alle esperienze vissute al suo fianco camminando verso il Sasso di Remenno, sui sentieri delle Dolomiti o di ritorno dal Monte Bianco. La montagna è un luogo privilegiato per contemplare le meraviglie del Creato ma anche per prendere coscienza dei propri limiti. Tutti noi, infatti, quando saliamo proviamo stupore, ma i sentieri ci ricordano anche che siamo fragili e questo Enrico lo sapeva bene”.
 

Enrico Lafranconi (1952-2022)

 

“Il suo cammino non si è mai fermato - aveva sottolineato ancora il sacerdote - neppure nella drammatica, dolorosa e misteriosa esperienza dell’infermità. Anche noi allora dobbiamo saper cogliere le pietre più preziose incastonate tra le rocce, comprese le più taglienti, quelle che vorremmo evitare”.
Quindi il ricordo del suo mettersi al servizio del prossimo, testimoniato dal suo impegno nel Soccorso alpino, in veste di istruttore della scuola di alpinismo dei Corvi e partecipe alle iniziative del Consorzio Alpe di Era. E un pensiero a lui e a sua moglie Sonia, che proprio nelle ultime settimane di vita di Enrico ha voluto condividere idealmente con lui il traguardo del quarantesimo anniversario di matrimonio. “Voi siete stati un’icona dell’amore umano, di quell’amore che ogni persona malata vorrebbe e dovrebbe ricevere”, aveva sottolineato don Marco prima della sua ultima riflessione: “Il sepolcro aperto di Cristo indica il trionfo della sua vita e così, sorretti dalla fede nel Risorto, ci stringiamo attorno ai familiari di Enrico con la speranza di ritrovarci un giorno in cima alla santa montagna, la Gerusalemme del Cielo”.
Al termine delle esequie è Sonia a ringraziare chi ha accudito Enrico “per farlo soffrire il meno possibile”. Poi il suo “grazie” a chi le ha dimostrato sensibilità e disponibilità, “a chi mi ha sorriso e sostenuto, a chi mi ha ascoltato e a chi è rimasto in silenzio”.

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