30 marzo 2019

Celestino Lampis, la Guzzi e la centrale dello Zerbo. Ora Mandello li “racconta”


Donati dalla figlia a “Gechi” Trincavelli oggetti, lettere, capi di abbigliamento e progetti appartenuti al padre ingegnere
di Claudio Bottagisi
La sua storia e il suo nome si legano alla centrale idroelettrica dello Zerbo e al bacino dei Campelli, da dove parte la condotta forzata che alimenta la centrale stessa.
Realizzata tra la metà del 1937 e la fine dell’anno successivo, la centrale dello Zerbo è ben visibile a lato della strada statale 36, a ridosso del lago, nel tratto tra Abbadia Lariana e Lecco.
La sua storia (laureato in ingegneria e titolare di uno studio professionale in via Luigi Razza a Milano, fu per oltre 40 anni docente al Politecnico di Milano) e il suo nome si legano altresì ad altre centrali sorte in Valsassina (l’impianto idroelettrico “Pioverna”, costruito tra il ’47 e il ’48, sfruttava le acque raccolte nel bacino di Maggio a poco più di 800 metri di quota) e in Valtellina (la centrale sulla Lesina Inferiore). Si sta parlando dell’ingegner Celestino Lampis, classe 1893, originario della Sardegna (nacque ad Arbus, nel Sud dell’isola).
La centrale dello Zerbo in una vecchia fotografia.
Parlare della centrale dello Zerbo, in particolare, vuol dire tornare agli anni in cui quell’impianto, oggi di proprietà della Cemb di Mandello, forniva energia elettrica alla Moto Guzzi. Vuol dire insomma tornare a occuparsi di quell’autentico orgoglio italiano rappresentato dalla Casa dell’Aquila.
Vuole però anche dire parlare dell’antica officina mandellese di Giorgio Ripamonti, il “ferèe”. Già, perché gran parte del materiale e dei documenti relativi a quelle centrali idroelettriche e non solo sono ora gelosamente custoditi da Gianni “Gechi” Trincavelli. A donarglieli è stata la figlia dell’ingegner Lampis, Maria, insegnante di matematica in pensione, la quale ha voluto che le preziose testimonianze e non pochi oggetti personali di suo padre andassero ad aggiungersi al patrimonio storico e rievocativo conservato nei locali dell’Antica officina di via Cavour.
Ci sono, tra il cospicuo materiale messo a disposizione di Trincavelli da Maria Lampis, i disegni di vari progetti, sue lettere autografe, sussidi relativi a corsi di perfezionamento in ingegneria nucleare da lui frequentati (tra questi, un testo di Barabaschi sul Controllo dei reattori nucleari), scambi di corrispondenze tra lui e la Moto Guzzi - e con la ditta “Antonio Carcano” di Mandello per la centrale del Lesina - e un gran numero di splendide fotografie. Alcune ritraggono l’ingegnere in occasione di una visita alla Guzzi del fisico Enrico Fermi nei primi anni Cinquanta, altri scatti documentano l’esterno e l’interno della centrale dello Zerbo, oltre alle varie fasi di costruzione della diga dei Campelli.
La calcolatrice appartenuta all'ingegner Lampis.
Trincavelli è poi entrato in possesso della divisa militare dell’ingegner Lampis, che fu tenente dell’Esercito, della sua calcolatrice e del suo cappello a cilindro acquistato presso la Cappelleria di lusso Melegari di corso Vittorio Emanuele a Milano e tuttora custodito nella sua cappelliera originale.
Al centro della foto Celestino Lampis. In sella alla moto, Duilio Agostini.
A fare bella mostra nel locale adiacente l’antica officina di Giorgio Ripamonti vi è poi da questi giorni la motocicletta appartenuta a Celestino Lampis, una Lodola 175 Sport del 1958.
Nel servizio fotografico, parte del materiale e degli oggetti appartenuti all’ingegner Celestino Lampis e ora custoditi presso l’Antica officina di via Cavour.
La motocicletta Lodola 175 Sport dell'ingegner Lampis.







4 commenti:

  1. La sig.ra Maria è contenta
    che si renda merito a suo padre dopo tanti anni. Ha
    lavorato sia per la Guzzi
    che per la Carcano. Durante l'ultima guerra risiedeva
    nel villone della Carcano. 6

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  2. Complimenti al Gechi che riporta alla luce un pezzo di storia ai più sconosciuto e che da oggi ne sarà custode e preservera' la memoria.
    Bellissimo racconto.

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    1. Grazie! La vicenda e l'intraprendenza di Trincavelli meritavano davvero di essere pubblicizzate

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