23 maggio 2023

Don Filippo Macchi scrive dal Mozambico: “Occorre avere occhi puliti e aperti contro il male”

Don Filippo Macchi
 
Dal Mozambico, sua terra di missione, don Filippo Macchi invia questo scritto-testimonianza agli amici e alle comunità lariane:

Una parola che nei primi mesi di Mozambico mi irritava molto era “ainda”. In portoghese significa ancora, quando è pronunciata da sola significa “ancora no”. Alcuni esempi: “E’ pronto quel documento?”, ancora no. “E’ arrivata la risposta a quella mail?”, ancora no. “Sappiamo cosa è successo all’animatore parrocchiale che era tanto preoccupato di risolvere un problema nella comunità?”, ancora no.
E ancora, ti trovi ad aspettare (mozambicani, campioni olimpici nell’attesa agli sportelli) o ti è ancora impossibile dare per risolta una situazione che sembrava chiusa. Oppure ti trovi a pagare qualcosina in più perché i prezzi sono cambiati, i termini sono scaduti, o altro.
Questo “ainda” mi scatenava grandi sospiri, più un altro ritornello imperdibile: pazienza! La pazienza è davvero merce preziosa e vitale qui, se si perde per strada si vive come disperati incattiviti, perché nessuno ti dà retta se sbraiti e pretendi, magari ti danno ragione ma come si fa con i matti.
Nelle ultime settimane sto notando di più, e spesso mi affiora alle labbra nelle conversazioni, un’altra espressione: “ainda bem”. Ancora bene, letteralmente, o si potrebbe tradurla “almeno questa cosa va bene”.
Si è forata la ruota, ma almeno eravamo vicini al meccanico che ha tappato il buco con la gomma fusa; l’incontro è iniziato in ritardo, c’era poca gente, ma almeno lo abbiamo fatto; il bancomat si è mangiato la carta di credito e ho passato tutta la mattinata in fila, ma almeno me lo hanno ridato senza farmi pagare; alla messa c’erano quattro gatti, ma almeno abbiamo capito il problema che c’era sotto. Nel mese di marzo ci sono state inondazioni in tutto il Paese, nella nostra zona è piovuto tanto ma senza i danni a case e persone che avevamo visto l’anno scorso. Il raccolto è rovinato, almeno qualcosa ha resistito.
Una storia da “ainda bem”, che mi è capitata in questo mese. Ho sempre avuto due professoresse di macua, due gemelle di 16 anni senza peli sulla lingua, semplici e solari, che ci venivano a visitare in casa e mi hanno fatto compagnia in alcune visite alle comunità di Mirrote: si chiamano Lucia e Luciana, di Namapa, famiglia musulmana, all’ultimo anno di catechesi per ricevere il battesimo. Da gennaio hanno diradato le visite, si faceva vedere soltanto Lucia, che non spiegava mai perché mancava la sorella. Diceva che era malata, verso Pasqua abbiamo capito che era una malattia di quattro mesi: Luciana aspettava un bambino e per questo solo a Pasqua si è fatta vedere in chiesa, nascondendo la pancia con un vestito ben stretto.
L’abbiamo accolta a braccia aperte, dicendole che non si deve vergognare di niente, che sta custodendo il tesoro prezioso di una nuova vita e che in chiesa c’è posto per lei, anche se per il battesimo dovrà aspettare. E’ un bene un’adolescente incinta di un bambino che probabilmente sarà senza padre? Chiaramente non lo è, ma potrebbe andare peggio: qui purtroppo l’aborto è una realtà consolidata e le pratiche di contraccezione selvaggia stanno facendo breccia nella corazza della morale tradizionale.
Dunque sto passando da “ainda” a “ainda bem”: non so cosa sta maturando in me, se è la rassegnazione tradizionale africana o se è la speranza cristiana. Mi auguro che sia la seconda e che i miei occhi siano puliti nel riconoscere il bene che c’è e che restino aperti contro il male che si mette in mostra in questa sempre nuova, sempre sorprendente (a volte terribile) realtà.
Ringrazio tutti voi per il sostegno che mi date: non solo quello economico, ma la voglia di conoscere cosa faccio e come sto. Più la preghiera: la benzina che ci permette di andare avanti! Soffro ancora un po’ la solitudine, ma se lo Spirito Santo fa la sua parte qualcosa si muoverà.
Don Filippo

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