29 ottobre 2019

Un mese senza Morena. Il direttore della Radioterapia del “Manzoni”: “Una grande donna”

Il dottor Carlo Soatti: “Il 20 settembre mi ha abbracciato e mi detto: E’ l’ultima volta che ci vediamo, questa volta non ce la faccio”
Il dottor Carlo Soatti, primo a destra, ritratto con Morena in occasione di una serata spensierata.
di Claudio Bottagisi
Il dottor Carlo Soatti prende dalla scrivania un cartoncino. Lo apre e ce lo porge, senza dire una sola parola. Sulla facciata di destra una frase dal Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto”. Sotto, un nome in neretto e una data: Morena, 29 settembre 2019.
Il chicco di grano è anche al centro dello scritto riportato sull’altra facciata interna di quel cartoncino. E con il chicco di grano una seconda protagonista, la formica.
“Un chicco di grano, rimasto nel campo dopo la mietitura, aspettava la pioggia per tornare a nascondersi sotto le zolle. Una formica lo vide, se lo caricò addosso e si avviò, con gran fatica, verso il nido. Cammina e cammina, il chicco di grano sembrava diventare sempre più pesante sulle spalle affaticate della formica. “Perché non mi lasci stare?”, disse il chicco di grano. La formica rispose: “Se ti lascio stare, non avremo provviste per quest’inverno. Noi formiche siamo tante e dobbiamo accumulare tanto cibo.
“Ma io non sono fatto soltanto per essere mangiato”, continuò il chicco di grano. “Io sono un seme pieno di vita e da me può nascere una pianta. Ascoltami, cara formica, facciamo un patto”. La formica, contenta di riposarsi un po’, depose il chicco di grano e chiese: “Quale patto?”. “Se tu mi lasci qui nel campo - disse il chicco di grano - io fra un anno ti restituirò cento chicchi uguali a me”.
La formica lo guardò con aria incredula. “Sì, cara formica, credi a quello che ti dico”.
La formica pensò: “Cento chicchi in cambio di uno solo, ma è un miracolo! E come fai?”, chiese al chicco di grano.
“E’ il mistero della vita - rispose il chicco di grano - Scava una piccola fossa, seppelliscimi lì dentro e ritorna fra un anno”. L’anno dopo la formica tornò. Il chicco di grano aveva mantenuto la promessa”.
29 settembre - 29 ottobre. E’ passato un mese da quando Morena Zucchi, 41 anni da compiere a fine ottobre, ci ha lasciato. Ma nessuno ha dimenticato, nessuno l’ha dimenticata. Non chi le ha voluto bene, non le sue coetanee, non i tanti amici, non quelli che per una qualsiasi ragione, fosse anche la più banale, avevano avuto modo di conoscerla, di incontrarla e di parlarle. Non il dottor Carlo Soatti.
Ha condiviso con la giovane mandellese un percorso protrattosi per più di quattro anni, il direttore della Radioterapia dell’ospedale di Lecco. Ha “camminato” al suo fianco, le è stato vicino e ha condiviso anche momenti spensierati e sereni. Perché Morena era così, spensierata e serena.
La ricorda con emozione, il responsabile di quel reparto del “Manzoni” dove la mandellese è stata in cura, dove si è sottoposta alle terapie, dove ha lottato con tutte le sue forze. Fino alla fine, fino a pochi giorni prima di andarsene.
“E’ venuta in reparto il 20 settembre - ricorda il dottor Soatti - perché quel giorno inauguravamo il nuovo acceleratore lineare di cui il “Manzoni” ha potuto dotarsi grazie anche alle donazioni e alla raccolta di fondi organizzata fin dal 2016 da “Cancro primo aiuto”. A Mandello l’associazione aveva trovato da subito il sostegno del Gruppo amici di Luzzeno. Quante volte me l’ha nominato, Morena! Quanto ci teneva, al Gal. E quanto si è spesa anche a livello personale perché potessimo raggiungere quell’obiettivo”.
“Ci siamo abbracciati - dice il direttore dell’Unità operativa, quasi sottovoce - e lei, che era con sua mamma Piera, mi ha detto: “E’ l’ultima volta che ci vediamo”. “Finiscila - le ho risposto - tu sei forte”. Sapevamo tutti e due che di quella sua battaglia stava per compiersi l’atto finale, eppure...”. “Morena mi ha guardato - aggiunge - e mi ha detto: “Questa volta non ce la faccio”. E una settimana dopo…”.
Ha voluto salutare tutti quelli che con lei avevano condiviso gran parte del suo percorso, quel giorno in ospedale. “Voleva completare il suo progetto di vita - osserva sempre il direttore della Radioterapia - un progetto costruito su ciò che si apprestava a lasciare. Così il mercoledì successivo aveva salutato anche il collega Antonio Ardizzoia, responsabile della struttura complessa di oncologia medica. Non voleva tralasciare nulla. E non ha tralasciato nulla”.
Ci invita a seguirlo all'interno del reparto, il dottor Soatti. Ci mostra il nuovo acceleratore lineare e ci illustra i vantaggi che si accompagneranno all’utilizzo di quel macchinario di ultima generazione. Sono disponibili e cordiali, i colleghi e il personale della struttura. “Qui i pazienti devono sentirsi accolti - dice - e questo è il concetto basilare del prendersi cura di loro. C’è uno scambio di vissuto, di esperienze legate a un cammino condiviso”. E il pensiero torna subito a lei. “Il bello del reparto - aggiunge - è quello che pazienti come Morena ci donano tutti i giorni”.
Spiega che all’interno del reparto è presente la struttura semplice di radioterapia interventistica che si occupa dei trattamenti ad alta conformazione di dose anche mediante procedure chirurgiche e radiochirurgiche di determinate patologie oncologiche. Elenca anche qualche cifra, il dottor Soatti, una più significativa dell’altra. “Con me lavorano quattro colleghi medici e sette tecnici - spiega - e da qui passano 700 pazienti ogni anno”.
Nello studio del direttore è incorniciata una pergamena con la benedizione di Papa Francesco. Il discorso torna sul nuovo acceleratore lineare, sui 250.000 euro raccolti da “Cancro primo aiuto” e su tutto ciò che sta dietro ogni donazione, anche la più piccola. Ricorda gli altri ospedali lombardi che già dispongono, o che disporranno in un prossimo futuro, di quello stesso macchinario.
Ma prima di congedarci l’ultimo pensiero è ancora per Morena. “Era davvero una grande donna - afferma - e ha combattuto fino all’ultimo. Ora ci manca e ci mancherà”.
Una stretta di mano e un ultimo sguardo al reparto. Idealmente un ultimo saluto a Morena.

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