02 marzo 2019

Mandello e il fenomeno migranti. “E’ il tempo dell’obiezione di coscienza”


Ad auspicarlo padre Angelo Cupini della “Casa sul pozzo” di Lecco. E don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, dice: “L’accoglienza è insieme un diritto e un dovere”
di Claudio Bottagisi
“Ciascuno di noi, nel proprio quotidiano, può fare più di quanto non si possa credere per far sì che il problema venga affrontato in chiave umana e non ideologica. E per dire a voce alta che la questione non può e non deve essere affrontata con provvedimenti adottati per guadagnare voti sulla pelle della povera gente”.

E’ uno dei messaggi scaturiti dall’incontro che si è tenuto ieri sera al teatro comunale “Fabrizio De Andrè” per iniziativa di “Casa Comune per Mandello democratica”, che aveva chiamato a parlare del fenomeno migranti (e principalmente di accoglienza) due sacerdoti da sempre al fianco degli ultimi con azioni e iniziative concrete: padre Angelo Cupini della Comunità di via Gaggio e don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio. Con loro, il sindaco di Abbadia Lariana Cristina Bartesaghi e Mirko Mazzali, consigliere al Comune di Milano delegato alle periferie.
A introdurre la serata Grazia Scurria. Richiamandosi al tema dell’incontro, la capogruppo consiliare di Casa Comune ha auspicato che “il tuffo nell’umanità possa essere sempre e soltanto spontaneo, in un rapporto diretto tra uomo e uomo”.
Ha poi ricordato l’esperienza vissuta un paio d’anni fa con quattro profughi afghani, accolti inizialmente in una struttura mandellese e in seguito di fatto “adottati” proprio da Casa Comune. “Quei quattro ragazzi hanno frequentato la scuola di italiano - ha detto - e sono stati accompagnati nel loro non facile cammino verso l’ottenimento del permesso di soggiorno”.
Uno di loro, Said, era in sala. Ora vive e lavora a Milano. “Ho un bellissimo ricordo di Mandello e di “mamma Lucia”, responsabile della casa in cui ho vissuto per oltre un anno”, ha affermato. Per poi aggiungere, semplicemente: “Sono contento. Sì, oggi sono davvero contento”.
Non una serata “contro” ma una serata “per”, aveva specificato Sergio Pomari, chiamato a moderare l’incontro, seguito da un pubblico numeroso e partecipe. E che si trattasse di una serata positiva lo si è capito fin dall’intervento di don Giusto. “L’accoglienza - ha premesso il parroco di Rebbio - è insieme un diritto e un dovere. Ed è di tutti nei confronti di tutti. Noi accogliamo chi bussa alla nostra porta anche se c’è chi ci accusa di pensare soltanto agli stranieri. Qualche anno fa siamo anche stati denunciati dalla Lega Nord e, dopo un esposto alla Questura, abbiamo dovuto pagare una multa salata. Questo fa male, ma Como è purtroppo una città ancora propensa a leggere tutto in chiave più ideologica che umana”.
Padre Angelo Cupini ha ricordato i primi passi mossi sul fronte dell’accoglienza fin dalla fine degli anni Settanta e sollecitato a “fermentarsi reciprocamente”. “Ecco, è questo ciò che dovrebbe accadere”, ha sottolineato prima di soffermarsi sul “progetto crossing” ideato tredici anni fa dalla Comunità di via Gaggio e ospitato dalla “Casa sul pozzo” di Lecco proprio allo scopo di favorire l’integrazione e aiutare i giovani giunti in Italia grazie al ricongiungimento familiare o nati nel nostro Paese da genitori immigrati.
“La paura - ha detto - è come noi generiamo l’esclusione di chi ci chiede ospitalità. Il cardinale Carlo Maria Martini diceva che dovevamo incontrare e accogliere le persone semplicemente per come loro erano e per come loro sono e nella nostra esperienza abbiamo toccato con mano quante prossimità vi siano tra il mondo cristiano e il mondo musulmano”.
Cristina Bartesaghi ha parlato dell’esperienza dei profughi accolti un paio di estati fa ai Piani Resinelli, non prima di aver premesso che “lavorare per l’inclusione vuol dire favorire la democrazia” e che “il pregiudizio inficia la capacità di creare relazioni”. “C’erano paura e diffidenza in taluni residenti - ha affermato - ma in realtà paura e diffidenza sono ben presto evaporate e tutto si è risolto senza particolari problemi e, anzi, con l’accoglienza volontaria da parte proprio di alcuni residenti”.
Quindi l’altra esperienza delle tre donne somale che, ospitate ad Abbadia, lo scorso novembre hanno trovato accoglienza altrove e successivamente delle due mamme nigeriane e dei loro due bimbi tuttora in paese.
“E’ bello mettere in gioco le nostre fragilità ed è importante creare meno divisioni possibili”, ha detto il primo cittadino, che ha aggiunto: “In questo senso è a mio giudizio fondamentale che ci sia solidarietà tra i pubblici amministratori e la cittadinanza, per favorire in tal modo la serenità di tutti”.
Non ha peraltro nascosto, il sindaco, una preoccupazione. “Ad Abbadia - ha affermato - ben pochi cittadini mi hanno fermato anche semplicemente per dire la loro sulle nostre esperienze di accoglienza e devo ammettere che quel “silenzio” un po’ mi preoccupa, ma non dobbiamo scoraggiarci”.
“Chi parla di accoglienza, come state facendo voi in questo territorio, ha un compito delicato - ha specificato subito dopo Mirko Mazzali - e deve cercare di "recuperare cultura" sul tema dell’immigrazione”. “Nessuno deve o dovrebbe dimenticare - ha aggiunto il consigliere al Comune di Milano, avvocato penalista di professione - che parliamo di persone e non di numeri né di oggetti. E dobbiamo rompere il binomio accoglienza-insicurezza. In questo senso, è vero, i dati sono in controtendenza, eppure la percezione della gente è diversa”.
“Occorre investire soldi ed energie nell’integrazione - ha osservato sempre Mazzali - e creare occasioni di incontro tra migranti e residenti”.
“Oggi è il tempo dell’obiezione di coscienza - ha affermato a fine serata padre Angelo Cupini - perché solo così facendo si diventa cittadini responsabili di fronte a determinati diritti violati”.
All’ingresso del teatro comunale vi era un’installazione dell’artista Raouf Gharbia ispirata al Mediterraneo e al fenomeno migranti. Prima di lasciare il “De Andrè” molti l’hanno sottoscritta. Una firma per dire che è ancora possibile “tuffarsinell’umanità.

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